L’AQUILA – Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, una nota di Goffredo Palmerini sul romanzo “Quando mio padre leggeva Carolina Invernizio” (Tabula Fati) di Pierfranco Bruni, che sarà nelle librerie dal 2 gennaio prossimo.
“[…] Madre ricordi quando leggevo Garcia Lorca seduta sulla poltrona dello studio la cui finestra aveva le rose rampicanti che entravano nella stanza? Tu mi chiedevi sempre se il libro che leggevo potevi leggerlo anche tu. Tante volte ho trovato sul tuo comodino i miei libri. Tutti rigorosamente sottolineati. Annotati. Come faceva papà con il suo Guy de Maupassant o Carolina Invernizio. Quando mio padre leggeva Guy de Maupassant e Carolina Invernizio aveva dieci anni o soltanto undici. Non dimenticarlo, mio caro lettore. Se siamo abitanti di labirinti siamo anche danzatori sufi che dalla Persia sono giunti nel greco mare. Noi siamo stati Ulisse. Siamo persi tra le mani di Enea. Amiamo Cleopatra. I passi dei sufi sono illuminazioni di Dio. Ed io leggo il mio viaggio accanto per non dimenticare la memoria dimenticata tra le lune dell’alba. Ora riscrivimi mio marinaio di deserti il tempo che più non ho e la nostalgia delle mie terre di infanzia. […]
Apro questa nota con un brano preso dalle prime pagine del nuovo romanzo di Pierfranco Bruni “Quando mio padre leggeva Carolina Invernizio”, edito da Tabula Fati, che il 2 gennaio 2021 esce nelle librerie, a 160 anni dalla nascita della Invernizio. In queste poche righe mi sembra condensato il cuore di questo singolare romanzo, venato di autentica poesia. Una scrittura intensa, bella, profonda. Un viaggio dell’anima. Illuminanti già queste poche parole, corrono sulle ali della memoria, del ricordo di una madre di grande tenerezza e sensibilità, e del rispetto, dell’ammirazione, della venerazione verso un padre, punto di riferimento, esempio, affidabilità, testimonianza e coerenza nei valori in cui crede. Nel romanzo si racconta di un padre che negli Trenta – Quaranta del secolo scorso leggeva i romanzi della “mitica” Carolina Invernizio.
Una narrazione coinvolgente che diventa un intreccio malinconico tra un padre e un figlio, l’autore stesso. Pierfranco Bruni la snoda lungo 150 pagine fitte di ricordi e la trasformazione di questi ricordi in un immaginario metafisico che conduce il lettore in una conoscenza profondamente esistenziale. Con il padre entra in scena il vissuto di una famiglia, scritto in prima persona. Pierfranco Bruni continua nella sua letteratura diario, ovvero in una letteratura memoria che incide in un solco, il Novecento italiano.
Nel romanzo si legge in un incipit: “Fu mio padre che un giorno, di ritorno da Cosenza, mi consegnò un libro incartato. Erano i primi anni del Liceo. Un libro che conservo ancora… Così parlò Zarathustra. Questo era mio padre. Da Carolina Invernizio a Nietzsche. Gli anni sono passati. Gli anni passano sempre e diventano imprevedibili. Non più catturabili. Quante volte ci siamo guardati e ci siamo giocati un attimo di tempo. Un bacio in più. Una carezza in meno. E poi ho ripreso il viaggio lasciandomi alle spalle il suo saluto con la mano alzata. Guardavo lui e mia madre dallo specchietto retrovisore dell’auto. Osservavo il loro saluto”. Una vera e propria immagine che segna il viaggio del romanzo stesso in simboli. Simboli e archetipi.
“É il racconto del mio rapporto splendido con mio padre – mi dice Pierfranco Bruni – il racconto del nostro legame sino all’ultimo giorno. Mio padre, mio primo maestro. Io suo ultimo allievo”. E ancora annota: “Non posso non dire di aver vissuto un’infanzia straordinaria. Unica, in una grande casa dove tutto aveva un senso. Un amore infinito di mia madre mio padre mia sorella dentro la mia esistenza. Mi hanno sempre accompagnato. Nelle sere ovattate d’inverno con il vento nella recita in giardino di palme e di sigilli di sguardi. Mio padre, sempre capitano, mia madre dirigeva le vele. Ho scoperto molto tardi le letture frequentate da mio padre. È andato via in un dicembre di alcuni anni fa. Spesso non parlava. Ascoltava. Quando sono diventato adulto mi osservava. Nei miei lavori e ospitate in Rai, sino a notte inoltrata, loro, mia madre e mio padre, restavano fissi davanti alla tv fino alla fine. Mi sentivo chiamare alle due o oltre di notte”.
Dunque un racconto tutto interiore, sulle ali dei ricordi, un vero viaggio dell’anima. “I ricordi – confida infine Bruni – ritornano proprio nel momento in cui pensi che le ricordanze non avrebbero più senso. Tutto è lì, in quel centro di universo che si chiama Anima. É lui che mi cerca. È lui che mi rincorre. Centro dell’universo. Sarà il tempo. Sarà che sono entrato in uno spazio in pazienza di vissuto. Sarà che il mondo esteriore è diventato distante. Rileggo i libri che mio padre lesse a 11 anni. Tra questi ci sono il Werther di Goethe, De Amicis e Carolina Invernizio. Rileggo questi libri e portano sempre, nell’ingiallito della carta, le sue dita, le sue mani, le sue sfogliate di pagine. Oltre le sue annotazioni a lato dello scritto. Cesellature che ancora mi fanno capire il tempo di quando mio padre leggeva Carolina Invernizio e mia madre aveva soltanto pochissimi anni”. Insomma, un romanzo da non perdere e da leggere tutto d’un fiato.
Pierfranco Bruni è nato il 18 gennaio 1955 a San Lorenzo del Vallo, in Calabria. Scrittore, poeta, italianista e critico letterario ed esperto di Letteratura dei Mediterranei. Direttore archeologo del Ministero dei Beni Culturali, è stato componente della Commissione Unesco per la diffusione della cultura italiana all’estero. Vive la letteratura come modello di antropologia religiosa. Ha pubblicato diversi testi sulla cristianità in letteratura. Il suo stile analitico gli permette di fornire visioni sempre inedite su tematiche letterarie, filosofiche e metafisiche. Si è dedicato al legame tra letteratura e favola, letteratura e mondo sciamanico, linguaggi e alchimia.
Presidente del Centro Studi e Ricerche “Francesco Grisi”, Pierfranco Bruni ricopre incarichi istituzionali per la promozione della cultura e della letteratura. Ha pubblicato numerosi libri di poesia, tra i quali Via Carmelitani, Viaggioisola, Per non amarti più, Fuoco di lune, Canto di Requiem, Ulisse è ripartito, Ti amerò fino ad addormentarmi nel rosso del tuo meriggio, Amsà e Shadi, Alla soglia della profezia, e di narrativa (racconti e romanzi), tra i quali si citano Paese del vento, Claretta e Ben, L’ultima primavera, E dopo vennero i sogni, Quando fioriscono i rovi, Il mare e la conchiglia, La bicicletta di mio padre, Che il dio del Sole sia con te, La pietra d’Oriente, Il sortilegio della speranza, Il ladro di profumi, Lettere a Eleonora.
Si è occupato di letteratura del Novecento con la pubblicazione di saggi critici su Pavese, Pirandello, Alvaro, Grisi, D’Annunzio, Carlo Levi, Quasimodo, Ungaretti, Cardarelli, Gatto, Penna, Vittorini e sulla linea narrativa e poetica novecentesca che tratteggia le eredità omeriche e le dimensioni del sacro. Ha scritto saggi sulle problematiche relative alla cultura poetica della Magna Grecia e si considera profondamente mediterraneo. Ha scritto, tra l’altro, un libro su Fabrizio De André e il Mediterraneo (Il cantico del sognatore mediterraneo, giunto alla terza edizione), nel quale campeggia un percorso sulle matrici letterarie dei cantautori italiani, ovvero sul rapporto tra linguaggio poetico e musica. Un tema che costituisce un modello di ricerca sul quale Bruni lavora da molti anni. Diversi suoi libri sono stati tradotti all’estero.
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