TORINO – É stato presentato dall’autore presso la sede torinese della “Famiglia abruzzese e molisana del Piemonte e Valle d’Aosta”, alla presenza di un folto pubblico e del presidente Carlo Di Giambattista, il romanzo “Regina blues” (Edizioni Progetto Cultura), ultima fatica dello scrittore aquilano, romano d’adozione, Antonello Loreto. L’opera si sviluppa intorno alla finale del torneo di calcio tra le scuole superiori di Regina, tranquilla città italiana dietro la quale non è difficile riconoscere L’Aquila.
La partita è lo spunto a cominciare dal quale l’autore ricostruisce la situazione esistenziale dei ventidue giocatori con l’arbitro (Syd) come voce narrante; è una scelta stilistica interessante perché permette a Loreto di tratteggiare variopinti, frizzanti, talvolta oscuri microcosmi che, allargati ad amici e parenti dei ragazzi, risultano essere la descrizione dell’intera città. I problemi, soprattutto sentimentali, dei protagonisti, le difficoltà di chi vive rapporti omosessuali, l’ansia per un futuro che, mai come a diciotto anni, è incerto, le relazioni non sempre semplici tra loro, tra loro e i propri genitori, tra loro e altri abitanti della città sono alcuni dei temi che, emergendo, delineano nel contempo i contorni di un ambiente cui l’autore guarda in alcuni casi con durezza (come ad esempio sulle questioni legate alla repressione omofobica) e in altri casi quasi con nostalgia.
Regina, vera protagonista del romanzo, risulta essere un luogo non solo fisico, ma anche mentale; è un luogo dove, seppur tra molte contraddizioni e difficoltà, la vita sboccia con naturalezza, con forza istintiva e Loreto sa ben descrivere queste energie quasi primordiali che nella giovinezza si manifestano con particolare forza. Così la galleria di personaggi delineati nella prima parte si arricchisce continuamente di spunti e interessi vari, dalle moto al cinema, dal biliardo agli studi con due temi che, quasi come bassi continui, tornano costantemente: la musica e il calcio. La coralità del romanzo è sottolineata dall’amalgama che l’autore riesce a elaborare (cosa tutt’altro che facile trattandosi di ben ventitré ragazzi) sia passando agevolmente dal discorso diretto al flusso di coscienza sia accennando, senza mai essere troppo pesante, a ricorrenti elementi simbolici o metaforici come il caldo inusuale e soffocante per il mese di Aprile (mese scelto ovviamente non a caso, il mese del terremoto dell’Aquila nel 2009) o l’abbaiare furioso dei cani o presenze femminili inquietanti, elementi che appaiono presagi di avvenimenti nefasti.
Qui l’autore sembra evocare le riflessioni conradiane sul preternaturale ove l’evento, verso il quale l’intera azione drammatica è indirizzata, rappresenta per tutti i protagonisti quella linea d’ombra superata la quale nessuno è più come prima, nessuno è più ragazzo e non ha avuto nemmeno il tempo di esser giovane, ma tutti dovranno confrontarsi con una maturità che giunge all’improvviso, troppo presto e nella più tragica delle maniere. “L’urlo agghiacciante” della terra trasforma irreversibilmente tutto. Le pagine più ispirate ci sembrano proprio quelle dove l’autore eleva come una preghiera alla città ferita; è questo il blues del titolo, un blues che non rimanda solo al genere musicale ma cita direttamente la poesia “Funeral Blues” di W. Auden.
Dopo il terremoto le esistenze dei ragazzi, tutte tragicamente segnate, prenderanno strade inimmaginabili ma riaffermeranno una volontà di vita e di crescita nonostante e talvolta proprio in forza delle ineliminabili cicatrici. C’è nella narrazione un particolare che apre una prospettiva interessante tra gli elementi ai quali si accennava: nella devastazione generale, nel crollo di solidi edifici e possenti mura resta in piedi, miracolosamente, una biblioteca ed è da lì che, ripartendo dalla lettura, è possibile iniziare una nuova vita.
La cultura assolve al ruolo fondamentale di preservare il ricordo e la memoria per poter riprendere a ri-costruire l’esistenza; un’esistenza che non può più essere quell’immediatezza di sentire e presentire del giovane prima dell’incontro con la sua linea d’ombra: gli adulti ormai sono qualcosa di diverso e le riflessioni, nelle ultime pagine, sulla maschera che indossano per poter continuare a vivere concretizzano le conseguenze di un disastro che non è mai del tutto consegnato al passato, ma tutto ha trasformato. A dieci anni dal terribile sisma dell’Aquila, questo romanzo ci appare come un grande inno d’amore verso la città abruzzese e la sua popolazione.
Nicola F. Pomponio
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