L’AQUILA – Il motto dove era e soprattutto come era non sempre paga in termini di sicurezza e di una corretta riorganizzazione urbanistica delle frazioni dell’aquilano colpite dal sisma e tuttora sollecitate dagli eventi ultimi che stanno radendo al suolo il cuore del centro Italia.
Una ricostruzione, quella dei paesi del capoluogo, che deve inevitabilmente tener conto dell’assoluta sicurezza dei fabbricati inseriti in un contesto villico che preveda ampie vie di fuga, aree di accoglienza, parcheggi e abbattimento delle barriere architettoniche. Il come era e dove era di una frazione è poco proponibile, semplicemente perché, in alcuni casi, le abitazioni non esistono più e quelle poche rimaste hanno ben poco da conservare poiché vilipese, oltre che dal terremoto, anche da malaccorti lavori di rifacimento eseguiti negli anni del boom edilizio: periodo in cui c’erano i soldi, ma poca era l’attenzione alla sicurezza e alla conservazione del patrimonio storico architettonico dei paesi.
Mi sia, dunque, concesso di esprimere un’opinione per quando concerne il ruolo che riveste la Commissione Pareri qui a L’Aquila, la quale dovrebbe rivedere le sue posizioni nel valutare ciò che è possibile abbattere e ciò che non lo è! Abbiamo visto tutti a Norcia come è andata. Prendendo atto che il valore immobiliare della “città benedettina” non possa essere paragonato a quello delle nostre frazioni, in questo caso Roio, non trovo un’utilità economica, storica e sociale nel voler ostinatamente preservare semplici civili abitazioni di fine Ottocento – inizi Novecento costruite con muri a sacco, tenuti con sabbia e pietre.
L’antico aspetto esteriore dell’impianto murario intonacato potrebbe essere riprodotto anche ricostruendo strutture nuove, magari ricollocando, ove possibile, i portali in pietra (in alcuni casi di semplice fattura artigianale) e i finali lapidei nel posto che occupavano primariamente. Qualora trattasi di fabbricati di particolare pregio architettonico, è sottointeso che bisogna adottare tutte le tecniche possibili, in ambito di ristrutturazione edilizia, per preservarli, ma è altrettanto ovvio che qualora non si ravvisi questa necessità è meglio abbattere e riedificare.
Temo che si stia perdendo un’occasione storica per ricostruire un ambiente urbano rurale a misura d’uomo. La vita delle persone e la tranquillità di una comunità non hanno prezzo, e non c’è storia che tenga, anche qualora si tenti ostinatamente di riproporla tenendo su case inanimate che ormai hanno perso la loro identità. Conoscere il nostro passato ci insegna, se possibile, a migliore là dove i nostri avi non hanno potuto.
A cura di Fulgenzio Ciccozzi