ROIO PIANO (AQ) – Il centro storico delle frazioni dell’Aquila viene considerato alla stessa stregua delle abitazioni intra moenia del capoluogo abruzzese. Almeno per quanto riguarda una parte dei fabbricati di Roio. Case di semplice edilizia popolare, costruite con muri a sacco, assemblati con sabbia e pietra, per le quali non esiste alcun vincolo paesaggistico, vengono equiparate agli edifici signorili della città. E’ sufficiente che ci sia qualche novecentesco portale (quindi nemmeno tanto antico), di semplice manifattura, senza decoro alcuno, se non che rechi incise le iniziali del proprietario, la data di costruzione (peraltro segni di lavorazione uguali ad altre costruzioni), e comuni finali lapidei, affinché la sopraintendenza alla Belli Arti lo consideri un edificio storico. Pertanto da tutelare. Anche se questo fabbricato fa parte di un aggregato che include altre costruzioni, le quali, benché non abbiano i modesti segni di “pregio” delle altre, possono seguire un altro iter operativo in fase di recupero. Dunque, nell‘ambito delle stesse unità d’intervento pare sia possibile (tecnicamente permettendo) fare delle scelte di ripristino completamente diverse: abbattimento e ricostruzione per una parte delle case di cui si disquisisce e ristrutturazione per gli altri immobili. E’ bene sottolineare che questi edifici da recuperare non hanno un’alta valenza storica e architettonica, caratteristiche per le quali tutti converrebbero nel concedergli la giusta attenzione (con il fine di preservali, rendendoli comunque sicuri), ma di comuni case di civile abitazione. A questo punto è opportuno fare alcune considerazioni oggettive, senza lasciarsi coinvolgere in questioni puramente veniali. La differenza di trattamento nell’ambito di questi consorzi porta a palesi ingiustizie nei confronti di quei proprietari per i quali non è previsto l’abbattimento dell’immobile e la ricostruzione ex novo. Costoro riavranno la loro casa non altrettanto sicura come le altre, con una sostanziale ridimensionamento del valore dell’immobile (pur se ben ristrutturata, resta sempre una casa classificata E), e con la stessa volumetria, quando invece le altre verrebbero ricostruite con muri meno spessi, recuperando così spazi interni prima non disponibili, e utilizzando materiali e tecniche innovative sin dalle fondamenta. Insomma è tutt’altra cosa! Inoltre c’è da considerare l’ulteriore logorio che subirebbero le strutture flagellate dalle intemperie e dall’incedere del tempo in attesa che inizino i lavori di ristrutturazione. Alla luce di queste valutazioni, sono quantomeno opinabili tali disparità di trattamento che, oltre a sollevare dei dubbi su eventuali benefici che queste scelte apporterebbero alla casse dell’erario, lederebbero palesemente alcuni cittadini i quali vedranno solo parzialmente riconosciuti i loro diritti. Purtroppo si sta perdendo l’occasione di far rinascere le frazioni a misura d’uomo, in totale sicurezza, senza che venga posta la giusta attenzione alla valorizzazione degli spazi interni dei borghi (strade e piazze). Il dove era e, soprattutto, il come era, in alcuni casi, non sempre si rivela una scelta lungimirante. Gli interventi di conservazione del patrimonio edile delle frazioni (inteso come rafforzamento strutturale dei fabbricato – esaltandone le caratteristiche storico architettoniche – ) era necessario effettuarli prima del terremoto, e non dopo. Allora, l’attenzione degli organi competenti verso questa tipologia di manufatti, nei centri minori dell’aquilano, era piuttosto flebile. Nel nuovo contesto urbano della periferia della città, ristrutturare e ricostruire case nuove mantenendo un impianto villico medievale non aiuta certo a preservarne la memoria, ma resta solo una avvilente “illusione ottica” che tenta di riproporre in maniera forzosa un passato ormai intimamente legato solo ai nostri ricordi.
(a cura di Fulgenzio Ciccozzi)