L’AQUILA – Era l’agosto del 1975 quando da Roma, dove lavoravo al Ministero dei Trasporti presso la direzione generale delle Ferrovie dello Stato, a domanda fui trasferito temporaneamente a L’Aquila per poter svolgere il mandato di consigliere comunale della città capoluogo d’Abruzzo, dove ero stato eletto per la prima volta tre mesi prima. Poi sarei stato riconfermato per altre cinque volte, portando così a 28 gli anni al servizio della comunità aquilana, diventandone uno dei più longevi amministratori. Alla stazione dell’Aquila furono anni di riqualificazione e miglioramento di tutti gli uffici e delle strutture, di realizzazione di nuovi fabbricati di servizio – come la caserma e alloggio del comandante della Polizia Ferroviaria e la Mensa del Dopolavoro -, che diedero un nuovo volto alla stazione del capoluogo, il primo rilevante intervento dalla sua ricostruzione alla fine degli anni Quaranta dopo il terribile distruttivo bombardamento alleato dell’8 dicembre 1943. Fece quasi trecento morti e molti feriti quell’atto di guerra, tra ferrovieri, maestranze dell’adiacente Zecca di Stato, tedeschi di guardia all’impianto, civili del quartiere Rivera ma soprattutto circa duecento vittime tra i prigionieri anglo-americani piombati nei carri merci, come lo storico Amedeo Esposito scrisse in un puntuale articolo rievocativo di sei anni fa.
Tra i lavori realizzati, nella seconda metà degli anni Ottanta anche una radicale bonifica dai residuati bellici dell’intero piazzale dei binari di stazione, mai fatta dopo il bombardamento. Portò a rinvenire nel terreno sotto le rotaie dello scalo ben oltre duecento bombe di artiglieria, alcune pesanti più d’un quintale, che il Genio militare prelevava per farle esplodere in sicurezza in cave abbandonate. Proietti di cannone che erano caduti dai carri merci nei crateri prodotti dall’attacco alleato e che furono rapidamente risotterrati dai tedeschi nell’immediato ripristino della stazione, logisticamente strategica per rifornire la linea Gustav. Altri cambiamenti e innovazioni dopo il ’75 furono introdotte nell’organizzazione dei servizi, per viaggiatori e merci, le cui gestioni andai a dirigere, passando poi alla dirigenza del Polo amministrativo, con la gestione del personale impiegato nelle stazioni della linea Sulmona-Terni, tra Pratola Peligna e Antrodoco, allora consistente in circa 200 ferrovieri.
Mi rimane ancora una suggestione di quando cominciai a lavorare a L’Aquila. La mattina alle 7 e mezza arrivava da Sulmona il treno 7520, quattro carrozze viaggiatori e un bagagliaio, ancora trainato da una sbuffante magnifica locomotiva a vapore 940 che nel percorso inghirlandava la stupenda Valle Subequana con la sua bianca scia di fumo. Possente la locomotiva, elegante nel suo colore nero e frontale rosso. Una meraviglia. Scendevano da quel treno frotte di operai della Siemens (poi Italtel) – quando la fabbrica dava lavoro a cinquemila persone -, tanti studenti e impiegati che sciamavano rapidamente verso scuole e vari uffici della città. Tanti i ricordi di quegli anni. Tanti i colleghi di lavoro che mi sono rimasti nel cuore, gran parte non ci sono più. Diversi di loro avevano l’alloggio in stazione o nei fabbricati dell’azienda all’interno dello scalo, dove vivevano con la famiglia.
Una di queste famiglie era quella di Gastone Rosati e sua moglie Angiolina Bologna. Avevano l’incarico a contratto di gestire il dormitorio dove il personale viaggiante andava a riposare. Negli anni seguenti l’azienda gli cambiò aulicamente nome in “FerrHotel”. Gastone era un vero personaggio d’antan: foulard al collo sotto camicie impeccabili, il tratto fine. Elegante e colto. L’eloquio fluente e forbito, una sottile ironia e la sua prontezza nel raccontare storie, fatti veri e fatterelli faceti: Gastone ammaliava. Erano una bella coppia, Gastone e la signora Angiolina, lei molto gentile e discreta. Avevano un solo figlio, Roberto, che era nato nel 1963. Un bel ragazzo, quando lo conobbi era allora dodicenne, ben educato e paffutello. Molto simpatico, riusciva a trainare i compagni della sua età.
Passarono veloci quegli anni, anche per Roberto Rosati che, sempre bravo negli studi, prendeva la maturità al liceo e s’iscriveva alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università dell’Aquila, corso di Lingue e Letterature straniere. Nel 1993 la svolta della sua vita, come talvolta capita determinata da fatti casuali e dal desiderio di scoperta e conoscenza. Ed è così che oggi possiamo raccontare la storia di Roberto Rosati, un aquilano in Guatemala, dove vive da quasi 28 anni nella capitale del Paese centroamericano, Ciudad de Guatemala, quasi 2 milioni e mezzo d’abitanti in un’area urbana di quasi 5 milioni di persone.
Roberto Rosati, 57 anni, è un uomo maturo e affermato. Con passione e inventiva è riuscito a costruire il suo successo spaziando in varie attività, sempre mantenendo un tratto di modestia nelle relazioni sociali unito a grande affabilità e comunicatività, diventando un esponente di punta della comunità italiana in Guatemala. Molto della sua storia di vita ha l’impronta della sensibilità e dell’attenzione verso gli altri, ma anche del desiderio di promuovere e valorizzare la cultura italiana, di rafforzare la presenza italiana nell’economia di quel Paese, come ha fatto guidando per molti anni la nostra Camera di Commercio. Un’attenzione e un servizio alla nostra comunità che non sono passati inosservati e che il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha ritenuto di premiare conferendogli, nel 2012, l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine della Stella d’Italia.
Roberto, come scegliesti per viverci proprio il Guatemala? E’ un Paese un po’ fuori dalle grandi direttrici migratorie, anche se conferma come gli italiani si trovino davvero in ogni angolo del mondo…
“Testa dura, come la maggior parte degli abruzzesi: 28 anni fa, dopo una vacanza a Barcellona per le Olimpiadi ed aver conosciuto un gruppo di turisti guatemaltechi, decisi di intraprendere il mio primo viaggio in Guatemala, nel febbraio del 1993, approfittando dell’ospitalità locale e per cogliere l’occasione di conoscere un posto che ha una storia ed una cultura tutta da scoprire”.
Va bene il desiderio di scoprire luoghi e paesi insoliti per fare una vacanza, ma cosa poi ti spinse a restare in Centro America?
“Prima del mio ritorno in Italia, il Rettore dell’Università gesuita “Rafael Landivar” di Città del Guatemala, che conobbi in un incontro culturale pubblico, mi offrì la possibilità d’insegnare letteratura italiana nella Facoltà di Lettere di quella prestigioso ateneo privato ancor prima di terminare i miei studi in lingue e letterature straniere. Tornato a L’Aquila, trovai l’appoggio di mio padre, che in queste cose è sempre stato il più conciliante possibile. Il 14 luglio del ’93 – all’indomani del fallito autogolpe dell’allora Presidente Serrano Elias – decisi di mettere in pausa gli studi universitari per poter fare esperienza di docente all’estero. Pensavo mi sarebbe potuta servire per un futuro in Italia. Passati sei mesi, mi resi invece conto che il Guatemala offriva opportunità che in Italia stavano cominciando a ridursi, in termini di lavoro e proiezione professionale. Decisi quindi di rimanere un periodo in più per vedere cos’altro offrisse il Paese”.
E davvero in Guatemala trovasti la possibilità di realizzare il tuo sogno (centro) americano”?
“Sì, fu proprio così. In poco tempo diventai Segretario generale della Camera di Commercio italiana in Guatemala. Nel 1996 fui testimone della firma della pace tra il Governo ed il movimento guerrigliero, che di fatto metteva fine ad una lunghissima guerra civile. Potei toccare con mano la nascita d’una nuova epoca per la società guatemalteca. Successivamente mi si aprì una possibilità di lavoro nella sede locale delle Assicurazioni Generali, come vicedirettore del ramo infortuni e malattie. Iniziai così un nuovo cammino professionale, totalmente differente dall’originale. Anche formativo. Tre anni dopo, infatti, presi una laurea tecnica negli Stati Uniti in Health Insurance Associate. Passati ulteriori tre anni in Generali, fui contattato da un’altra società internazionale di assicurazione, l’American International Group, che all’epoca era uno dei gruppi finanziari ed assicurativi più forti del mondo. Diventai direttore commerciale della filiale in Guatemala”.
Parlaci ora della tua bella famiglia, che ho avuto occasione di conoscere qualche anno fa a L’Aquila.
“Nel frattempo avevo sposato Teresa. Mia moglie, colombiana – la storia di come ci siamo conosciuti meriterebbe un capitolo a parte -, oltre ad essere ingegnere industriale si dimostrò donna dotata di una pazienza infinita e di grande tenacia. Dopo il matrimonio nel 2000 nacque nostra figlia Valeria. Nel 2008 decisi finalmente di intraprendere un cammino professionale indipendente, con l’intento di trovare nuovi stimoli. Fondai un’impresa di consulenza e di rappresentanze commerciali. Offrivo servizi di consulenza su temi assicurativi di micro-assicurazioni, banca assicurazione e mass-marketing a varie compagnie assicurative locali, istituzioni finanziarie e broker”.
Maria Teresa Ruiz, la moglie di Roberto, è una donna bella ed empatica, con tanti interessi. Mi colpì davvero molto quando la conobbi a L’Aquila. Nata in Colombia, a Bucaramanga, ha studiato presso l’Universidad del Norte a Barranquilla, bella città che affaccia sull’Atlantico nel Golfo dei Caraibi, famosa anche per il suo Carnevale dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità. Laureata in ingegneria industriale, specializzata in software design, Teresa è consulente per il settore energetico, petrolio e gas. Mi impressionò la sua grande passione per l’arte e per il cinema, anche quello italiano, verso il quale aveva una speciale predilezione.
Tua moglie Teresa è partecipe nelle numerose attività in cui ti sei cimentato?
“Oltre alle attività che ho appena citato, c’è un settore che con lei conduco, grazie alla presenza più continua che ora mia moglie può assicurare in azienda. Nel 2016 abbiamo infatti avviato un’attività di import di macchinari per la depurazione dell’acqua dalla Gran Bretagna. Inoltre, da un anno a questa parte, abbiamo fatto incursione nel campo della sicurezza elettronica ed abbiamo creato un’associazione commerciale con le rappresentanze locali di FSS, marchio italiano di estintori in aerosol, e con FirePro, un’azienda di Cipro che produce estintori per usi industriali”.
Davvero molti i settori di attività nei quali operi…
“Sì, ma non sono ancora tutti. Uno, in particolare, richiama le nostre radici e le tradizioni abruzzesi. L’ultimo progetto, nato proprio nel 2020, è la creazione di una fabbrica artigianale di liquori italiani un po’ fuori dal comune. Nascono infatti con il marchio “La bottega di nonna”. Questo logo racchiude in sé la storia di mia madre, nata e cresciuta a L’Aquila in un periodo difficile, lei adolescente nel bel mezzo della seconda guerra mondiale. Abbiamo anche creato una storytelling del marchio, che tende a promuovere non solo il prodotto, ma anche la città dell’Aquila e l’Abruzzo, con le loro antiche tradizioni. Ma in generale abbiamo anche promosso tradizioni italiane meno conosciute, quali ad esempio quelle dei nostri liquori a base di erbe, come basilico o rosmarino, e comunque sia, di prodotti che vanno al di là delle consuete offerte di liquori italiani all’estero, quali limoncello, sambuca, grappa, e così via. L’idea di base è che l’Italia ha una straordinaria varietà d’offerta sotto molteplici aspetti. E’ un peccato che il mondo non conosca ancora tutte le sfaccettature di questo nostro grande Paese”.
Dopo la scomparsa della tua mamma, tuo padre venne in Guatemala. Raccontami di Gastone e dei suoi anni all’estero. Ho di lui un ricordo straordinariamente vivo…
“Nel 1996 mio padre, ormai pensionato delle Ferrovie dello Stato, venne a vivere con me in Guatemala. Probabilmente passò il periodo migliore della sua vita, dal momento che tanto la gente, quanto il clima, lo stile di vita e il livello socio economico che gli garantiva la sua pensione di ferroviere, gli permisero di vivere anni in totale serenità, mettendo finalmente un freno ai tanti dèmoni che popolano i sonni di molti di noi. Poté finalmente godersi gli ultimi anni di vita, soprattutto la sua amata nipotina Valeria con la quale aveva una speciale complicità d’affetto. E’ stata la sua più grande gioia, fino alla sua morte nel 2005. Valeria, che ora ha vent’anni, studia e lavora a Vancouver, in Canada. Ha intrapreso una carriera singolare, opera nel campo degli “effetti speciali” per videogiochi, cinema e televisione. Ha avuto proprio in mio padre un mentore, un amico e un educatore. Le ha trasmesso, lei bambina, quei valori autentici che speriamo porti con sé per tutta la vita”.
Qual è la tua vita sociale e quale il tuo contributo in seno alla comunità italiana?
“A livello personale ho sempre mantenuto una relazione abbastanza intensa con la comunità italiana in Guatemala. Sono stato docente di lingua italiana della Dante e dopo che la Camera di Commercio chiuse intorno al ‘98, nel 2008 fui uno dei soci fondatori della nuova Camera di Commercio, che nacque sotto l’egida e il sostegno dell’Ambasciata italiana. Sono stato Presidente della Camera di Commercio per due mandati e nel secondo mandato siamo riusciti ad ottenere il riconoscimento da parte del governo italiano come Camera di Commercio ufficiale. Nel 2012 sono stato nominato Cavaliere dell’Ordine della Stella d’Italia ed ho continuato a mantenere sempre una relazione molto stretta con la nostra comunità, non solo nell’ambito della Camera, ma ricoprendo incarichi anche nei Consigli direttivi dell’Associazione Italiana di Beneficenza e della locale sede della Dante Alighieri”.
Cosa ritieni possano fare meglio e di più all’estero le istituzioni italiane, siano esse nazionali, regionali o locali?
“L’Italia ha sempre un debito da assolvere verso le proprie comunità nel mondo. Pensando all’Abruzzo ed a L’Aquila, quello che auspico per un futuro prossimo, è che tanto la Città come la Regione possano aprirsi un po’ di più ai mercati internazionali per far conoscere tanti aspetti turistici, folklorici, gastronomici e commerciali. In generale, che possano aiutare a migliorare l’economia regionale con un’adeguata promozione delle bellezze artistiche ed ambientali, della gastronomia, delle eccellenze dell’Abruzzo. Sarebbe inoltre auspicabile che grandi e medie aziende abruzzesi s’interessassero maggiormente a mercati come quello del Guatemala, che da un lato è parte di un’economia – quella centroamericana – che conta più o meno 50 milioni di abitanti, e dall’altra rappresenta un polo logistico importante per quelle aziende che propendano a sviluppare relazioni commerciali con Paesi del Sud America o con Messico, Stati Uniti e Canada. Se non addirittura utilizzare il Guatemala come polo produttivo per i mercati asiatici”.
Roberto, per concludere, hai un sogno nel cassetto?
“Il sogno nel cassetto ovviamente è quello di poter tornare un giorno in Italia assieme a mia moglie, per poter vivere i nostri anni di riposo nella città che mi ha visto nascere, L’Aquila, ora felicemente adottata da tutta la mia famiglia”.
A cura di Goffredo Palmerini