L’AQUILA – La croce di ferro, infissa sulla stele della memoria, che gli alpini di Genzano di Sassa e Roio posero nel luogo in cui venne rilevato l’epicentro del terremoto del 2009, a Colle Miruci, è stata “brutalmente estirpata” dai soliti ignoti. Proprio lì vicino, qualche anno fa, venne rubata l’effigie della Madonna la quale assurgeva al medesimo valore simbolico. Evidentemente a qualcuno non piace l’idea di voler ricordare quell’evento che ha cambiato la vita della comunità aquilana, o, forse, a questi buontemponi non piace che tali simboli religiosi vengano accostati a quel ricordo.
Comunque sia, questi sacri emblemi vanno ben oltre il significato religioso che essi pur rappresentano, poiché fanno parte della tradizione, sacra e popolare, che nel corso dei secoli ha forgiato la nostra identità. Nonostante tutto, i gruppi alpini di cui sopra, capitanati rispettivamente da Scarsella Federico e Manlio Ciccozzi, dopo aver ricollocato la croce ferrea sul cippo in pietra, domenica 10, alle ore 16,00, hanno organizzato l’evento commemorativo nel doveroso ricordo delle 309 vittime. Un pomeriggio di aprile, questo, in cui il cielo spento del mattino si è lasciato sedurre dai raggi del sole che dolcemente accarezzavano il colle. Il brusio dei convenuti, che si sono accalcati sul piccolo pianoro, è stato interrotto dal richiamo del parroco che li ha invitati a osservare qualche minuto di silenzio. Un silenzio interrotto da una fastidiosa brezza e scandito da 309 rintocchi.
La Santa messa è stata celebrata dal parroco Don Samuele. Dopo l’omelia, sono intervenuti il consigliere del comune di L’Aquila, Stefano Palumbo, e il sindaco di Lucoli, Marrocchi Gianluca. Da quel sei aprile di sette anni fa, tutti noi abbiamo iniziato un percorso irto di ostacoli. Ostacoli che piano piano, tra mille difficoltà, abbiamo cercato e cerchiamo quotidianamente di rimuovere. Le case, la città e i paesi (a fatica) tra mille peripezie li vedremo prima o poi ricostruiti. C’è, invece, chi non vedrà ricostruita la propria vita perché quella notte gli è stato tolto un bene di inestimabile valore. Queste persone hanno visto quel percorso ostruito da un muro reso invalicabile dalla perdita dei loro congiunti. Un muro troppo alto per essere superato senza l’ausilio della fede (per chi crede) o del sostegno della comunità di cui sono parte. Per questo che la memoria e la solidarietà sono dei lumi che vanno mantenuti accesi, giorno dopo giorno. A tal proposito mi piace concludere citando le parole di una nostra concittadina, Maria Frutti; parole che, se non altro, ci invitano alla riflessione: “C’è la preoccupazione del ricco diventato povero, il dolore del coniuge diventato vedovo, il dolore del figlio diventato orfano e il dolore del genitore per il quale non esiste termine coniato nella lingua parlata per definire lo stato che segue alla morte di un figlio. Con il terremoto (e non solo) per alcuni, si è verificato l’inaccettabile in assoluto: a loro è toccata la triste sorte dì vivere il dolore più grande! A loro la preghiera più grande perché Dio li aiuti a sopravvivere senza ciò che di più bello gli aveva donato.”
(A cura di Fulgenzio Ciccozzi)