L’amico Gigino, che ci guarda da lassù, li aveva minuziosamente descritti in due libri: “Abruzzo Kaput” e “La mia Guerra. Parlano i testimoni”, pubblicato a puntate dal quotidiano Il Centro.
Episodi che si aggiungono agli altri eventi accaduti durante il Risorgimento Italiano, che ho trovato nei documenti storici, e li ho riportati nel mio libro dal titolo “La Storia di Roseto e della Riserva naturale Borsacchio”.
Protagonisti sono stati i nostri patrioti, ed io li ho visti in sogno: erano affacciati ad un balcone, tra le nuvole.
In prima fila stavano 10 giovani, che nella notte del 14 gennaio 1944 si imbarcarono alla foce del Borsacchio, per superare via mare il fronte di guerra di Ortona e riabbracciare la Libertà.
E quando i tedeschi, sbucati da un canneto, cominciarono a sparare, si buttarono nell’acqua gelida.
Uno di loro, Biagio De Nigris, morì assiderato, e la mattina dopo il cadavere fu esposto a Roseto, per intimorire tutti quelli che volevano sottrarsi al giogo nazista.
Ci furono poi le perquisizioni e vennero arrestati 4 patrioti: Nazzareno Brandimarte, Fioravante Di Marco e i fratelli Camillo e Dino di Pietro, che aveva 17 anni.Processati dal Tribunale Speciale di Teramo, furono condannati a morte, e in attesa dell’esecuzione vennero separati e rinchiusi nelle carceri de L’Aquila e di Regina Coeli.
Avevo allora 9 anni e conoscevo bene i condannati a morte: erano compagni di mio padre, anche lui pescatore, che ottenne la Croce al merito di guerra per aver combattuto contro i tedeschi dopo l’armistizio.
Il 13 dicembre 1943, un grave episodio si era verificato a Montepagano, quando furono fermati, durante un rastrellamento, Dante Candelori ed altri coetanei.
Li sorvegliava un soldato tedesco, che per riposarsi si tolse l’elmetto e appoggiò ad un albero il mitra.
Fu allora che il giovane rosetano, emulo del ragazzo di Portoria, raccolse un mattone e glielo scagliò ferendolo alla testa.
I fermati fuggirono tutti e i tedeschi presero 10 civili e li misero davanti ad un muretto, ma la fucilazione venne sospesa perché la ferita del soldato non era grave.
Dante Candelori venne poi arrestato e condannato alla deportazione in Germania.
A testimoniare il coraggio dei nostri patrioti è stato il generale inglese Alexander, Comandante Supremo delle Forze Alleate, che firmò un documento dove si legge: “Questo certificato è rilasciato a Brandimarte Nazzareno, quale attestato di gratitudine e riconoscimento per l’aiuto dato ai membri delle Forze Alleate, che sono riusciti ad evadere o ad evitare di essere catturati dal nemico”.
Ho visto in sogno anche gli altri patrioti, e li ho riconosciuti.
C’erano, in seconda fila i Romualdi: il padre Ciro, medico e letterato, nato a Montepagano il 15 novembre 1805, e i suoi figli, Alessandro e Pasquale.
Il 2 agosto 1848, Ciro Romualdi entrò armato a Cologna, rimasta fedele al governo borbonico, e spiegò la bandiera tricolore gridando: “Viva l’Italia, viva la Libertà, viva Carlo Alberto”.
Venne processato dalla Corte Criminale di Teramo e riparò a Genova.
Tornato in Patria dopo 12 anni, fu l’ideatore del nome Rosburgo (Borgo delle Rose), in quanto non gradiva la denominazione Le Quote e l’ironico appellativo “cotaroli”.
I suoi figli, nel mese di settembre 1860, raggiunsero Napoli via mare, e a Capua si aggregarono allo schieramento garibaldino.
Nella storica battaglia del Volturno, Alessandro Romualdi, nominato luogotenente dei cavalleggeri, trascinò le avanguardie contro le linee borboniche.
Morì da eroe il 1° ottobre 1860, aveva 17 anni non ancora compiuti, e una stampa d’epoca lo ritrae mentre viene soccorso da un ufficiale garibaldino.
Pasquale Romualdi, ventenne, combattè a fianco del fratello, e dopo la morte di Alessandro, continuò la battaglia, che si concluse, vittoriosamente, il 2 ottobre.
Accanto ai Romualdi, c’era Giuseppe Devincenzi, patriota e grande personaggio del Risorgimento Italiano, che riuscì ad inserire la microstoria locale nella macrostoria nazionale.
Nel 1848, eletto deputato e segretario del Parlamento napoletano, firmò la protesta per lo sgombero forzato della sede istituzionale di Monteoliveto, durante i sanguinosi moti popolari contro il re Ferdinando II di Borbone.
Condannato dalla Corte Criminale di Napoli a 24 anni di ferri duri, dopo l’esilio collaborò con Camillo Benso conte di Cavour, e accompagnò il re Vittorio Emanuele II da Ancona a Teano, all’incontro con Giuseppe Garibaldi del 26 ottobre 1860.
Arrivato qui da noi il 16 ottobre, Giuseppe Devincenzi fece gli onori di casa quando il corteo reale passò sotto l’arco di trionfo eretto davanti alla sua villa, denominata poi Villa Mazzarosa.
Nel 1863 inaugurò la nostra Stazione, e fu ministro del Regno d’Italia nel 1867 e dal 1871 al 1873, quando organizzò il trasferimento della Capitale da Firenze a Roma
Dietro la Villa Mazzarosa, c’è tuttora il casello ferroviario n. 318-205, che fungeva da stazione personale del ministro, per consentirgli un più facile e veloce collegamento con le sedi istituzionali e governative.
Come rosetano, li guardavo tutti con orgoglio, e anche loro mi guardavano, e mi accorsi che erano amareggiati.
All’inizio non capivo, ma poi ho compreso e condiviso la loro tristezza.
Purtroppo, l’Italia del XXI secolo, governata da tanti politici ed amministratori sprofondati nel fango, non è quella che avevano sognato quando lottavano per riacquistare la Libertà, e si offrivano all’estremo sacrificio.
Se però gli italiani saranno capaci, democraticamente, di fare piazza pulita dei corrotti e dei corruttori, allora i nostri patrioti potranno ritrovare, tra le nuvole, il sorriso della lontana fanciullezza.
Una menzione speciale merita il già citato Dino Di Pietro, uno dei più giovani condannati in Italia alla pena capitale.
Prima dell’esecuzione, riuscì a fuggire dalle carceri giudiziarie de L’Aquila, e tornò a casa dopo l’arrivo delle Forze Alleate, che occuparono Roseto il 15 giugno 1944.
E proprio oggi, 25 aprile 2016, ricorre il 18° anniversario della sua morte avvenuta il 25 aprile 1998.
Per non dimenticarli, il Comitato rosetano e l’ANPI, come negli anni scorsi, hanno voluto riscattare il vergognoso oblio delle Istituzioni.
E si sono fatti promotori di una stele, affinchè rimanga, a perpetua memoria, la doverosa testimonianza del nostro glorioso passato.
(a cura di Franco Sbrolla)
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