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Rovereto: “Appunti di viaggio”

da Donatella Di Biase

È il titolo della mostra di Vilma Maiocco e Gianfranco Zazzeroni, che si terrà dal 3 al 10 settembre

ROVERETO (TN) – Si terrà dal 3 al 10 settembre 2011, presso la sala “Roberto Iras Baldessarri” in via dei Portici, 25 a Rovereto la mostra “Appunti di viaggio”, a cura di Maria Cristina Ricciardi. L’esposizione propone le opere, dipinti e incisioni, di due  affermati artisti abruzzesi di adozione: Vilma Maiocco  e Gianfranco Zazzeroni

L’orario di apertura al pubblico è : 18.00 / 22.00
sabato e domenica: 10.00 / 12.00 – 18.00 – 22.00
chiuso il lunedì
Ingresso libero – Catalogo in galleria

Riportiamo alcuni brani critici stralciati dalla presentazione degli artisti  ad opera della curatrice:

«Come un diario di viaggio, la loro pittura sa stupirci e diventa una magnifica avventura nell’emozione intensa e vitale del reale»

Se nulla nasce dal nulla, alla sensibilità artistica di Vilma Maiocco appartiene una genesi di riferimenti culturali, certamente utili alla comprensione dell’autentica qualità del suo lavoro.

In tal senso, appare molto interessante il nesso che i suoi racconti visivi stabiliscono con quello straordinario processo di scardinamento formale e cromatico operato, all’interno dell’avanguardia cubista, da Robert Delaunay che, intorno al 1912, introduce nell’arte un nuovo concetto di movimento inteso come forza dinamica rotatoria, chiamato “orfismo”, dal mito del poeta-musico Orfeo.

…… il sentimento di profonda intimità di cui si fa interprete la pittura della Maiocco, che sottende ad un sentimento di raccoglimento, di tenerezza, ma anche di sincera partecipazione ad un destino comune, laddove si è vulnerabili nella paura di perdere la propria individualità, e si è forti nell’abbraccio, nell’incontro con l’altro. Riflettere su questo significa ragionare sul pensiero che da sostanza e voce ai suoi dipinti, connotati dal tratto morbido della pennellata, dall’esperienza di contrasti cromatici offerti da toni caldi e solari, bilanciati da poetici azzurri, dove l’eleganza linearistica incontra la visionarietà di metamorfiche prospettive: appunti di viaggio, verso sponde di altre terre, che si affastellano e fuoriescono dalla memoria di pagine non scritte.

La nozione di arte come strumento di comunicazione visiva, vive nella pittura di Gianfranco Zazzeroni attraverso la poetica del segno, protagonista di un codice espressivo che, erede di una cultura internazionale affermata nell’immediato dopoguerra dall’ Informale, svincola il postulato artistico da ogni obbligo rappresentativo.

“La realtà ci circonda, siamo anche noi realtà” amava affermare, alla metà degli anni Cinquanta, Giuseppe Santomaso, uno dei grandi protagonisti dell’Informale italiano. E la realtà per Zazzeroni non è certo il campo visivo del dato retinico, ma quello della sua elaborazione mentale che si manifesta principalmente attraverso segni e colori, significativi testimoni di una consapevolezza artistica solo apparentemente casuale e veloce, in realtà piena di grande equilibrio compositivo, pur sempre votata ad una libertaria esigenza esplorativa.

La sua pittura è un trionfo di materia e luce, che conduce a continue metamorfosi, tra epifanie di bagliori cosmici e paesaggi mentali di magmi incandescenti: traiettorie vitali e dinamiche di infinite particelle in movimento, che si concretizzano nella sua arte
in ciò che per Zazzeroni costituisce il punto cardine del proprio impegno: trasferire sulla tela tutta l’energia dello spazio reale, codificandola in energia pittorica e cioè in una pittura che sia soprattutto “fatto concreto”, condizione autentica e palpitante, polpa viva.

Noi siamo dunque quella realtà che non è fuori dai nostri occhi ma dentro di noi, ci insegna l’artista. In tal senso la sua esperienza è anche indagine sulle possibilità esplorative offerte dal fare pittorico, un viaggio umano che nelle trame grafiche e nelle pulsazioni cromatiche, nelle zone di ombra e di luce, lascia libera la sua impronta di esistenza in atto, intima e vibrante, pronta ad immergersi nella profondità del proprio essere, per poi riemergere e appuntarsi in un bagliore o scomparire di nuovo”.

Maria Cristina Ricciardi

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