Pascucci: “un intervento leggero del legislatore che obblighi il datore di lavoro ad adeguarsi al trattamento economico minimo previsto dai contratti di lavoro collettivi, con un apparato sanzionatorio, sia la strada migliore da percorrere“
PESCARA – Un salario minimo stabilito per legge rischia di irrigidire il percorso di individuazione di una giusta retribuzione, percorso che contempla anche diritti e altre valutazioni: meglio riferirsi ai contratti collettivi stipulati da sindacati realmente rappresentativi. È quanto emerso questa mattina a Pescara nel corso del seminario “Quale salario minimo legale?” promosso dalla Uil Abruzzo. In apertura dei lavori, coordinati da Fabiola Ortolano, della segreteria Uil Abruzzo, il segretario generale Michele Lombardo ha spiegato che “momenti come questo servono ad approfondire temi importanti e delicati per evitare che l’ideologia prevalga sulla realtà. Il metodo del confronto rappresenta da sempre per la Uil la strada maestra da seguire, e per questo abbiamo voluto invitare un docente come il professor Paolo Pascucci, tra i massimi conoscitori della materia”.
Nel corso del suo intervento, che ha fatto seguito al saluto di Lola Aristone, presidente Associazione Giuslavoristi Italiani Abruzzo e Molise, il docente di Diritto del lavoro all’università di Urbino ha rimarcato che “il problema della povertà, da cui prende le mosse l’argomento, è reale, alla luce del fatto che il nostro paese sta attraversando da anni un deserto retributivo. Non dimentichiamo, infatti, che l’ingresso nel sistema monetario europeo fu all’origine di una moderazione salariale di cui ancora oggi si sentono gli effetti, come nel caso del pubblico impiego dove assistiamo al blocco dei rinnovi e degli scatti di anzianità”.
Il giuslavorista, poi, ha aggiunto che “da sempre in Italia la contrattazione collettiva contribuisce alla definizione del salario, che rappresenta l’elemento più importante del rapporto di lavoro, e dunque il tema di una retribuzione minima non può essere slegato da questo elemento che porta un oggettivo miglioramento degli interessi di una intera categoria. Purtroppo, come sappiamo, i contratti collettivi, di cui molti sono veri e propri “contratti pirata”, sono innumerevoli in Italia e il soggettivismo giudiziario complica il percorso di riconoscimento di una giusta retribuzione, che riguarda sia il lavoro dipendente sia quello “collaterale” fatto di collaborazioni e mancanza di regole”.
Quali, dunque, le strade da percorrere? “Il legislatore – ha detto Pascucci – può fissare numericamente un salario minimo, come succede ad esempio con i voucher e come accade in altri paesi europei, oppure rimandare proprio ai contratti collettivi, che storicamente rappresentano in Italia un’esperienza peculiare che va valorizzata. Personalmente ritengo che un intervento leggero del legislatore che obblighi il datore di lavoro ad adeguarsi al trattamento economico minimo previsto dai contratti di lavoro collettivi, con un apparato sanzionatorio, sia la strada migliore da percorrere, che non irrigidisce l’argomento, non obbliga il legislatore ad interventi successivi e, soprattutto, non marginalizza il sindacato che ha un ruolo che va oltre la semplice parte economica, contribuendo invece alla definizione di un punto di equilibrio che contempla anche altri diritti. Questo – ha concluso – evoca la responsabilità del sindacato, chiamato a comprendere le nuove frontiere della regolazione dei rapporti di lavoro”.
A seguire, è intervenuto anche Michele Tartaglione, della Uil nazionale, che ha informato sulla convenzione sulla rappresentanza sottoscritta due giorni fa a Roma. Nel corso delle sue conclusioni, Tiziana Bocchi, segretaria nazionale Uil, ha rimarcato che “prima ancora del salario minimo ci interessa la crescita del paese, perché senza lavoro non ha senso parlare di retribuzioni. Una crescita, si badi, quantitativa ma anche e soprattutto qualitativa, vale a dire sostenibile. In Europa, il salario minimo esiste laddove la presenza sindacale non è strutturata. Da noi, negli ultimi anni si è relegata la parte economica alla contrattazione di secondo livello, disattesa da molte aziende. Nel dibattito attuale il rischio della propaganda è molto forte: sul tavolo ci sono diverse proposte che nel tempo sono cambiate, ma in generale noi riteniamo che non ci sarebbe bisogno di una legge. Se proprio bisogna introdurre modifiche bisogna rimandare alla contrattazione collettiva: la sfida, allora, è adeguare i contratti nazionali ai cambiamenti del mondo del lavoro. In definitiva, meglio una legge leggera che valorizzi la contrattazione e che metta in campo più controlli contro il dumping contrattuale. Serve un lavoro di approfondimento e confronto lungo, fatto di ascolto e conoscenza. Questo ci interessa, per questo ci battiamo”.
All’incontro era presente anche Roberto Di Primio, in rappresentanza insieme ad una delegazione dell’Usif, Unione Sindacale Italiana Finanzieri, nata di recente proprio per tutelare gli appartenenti alla Guardia di Finanza.