REGIONE – La scienza come chiave interpretativa come della storia europea, collante e motore del continente. Nelle sorti della scienza si possono intravedere anche quelle del progetto europeo: il rischio del declino e il possibile riscatto. É stato questo l’argomento su cui è stato incentrato il diciannovesimo incontro di “Un libro, il dialogo, la politica”, la rubrica curata da Michele Fina in diretta Facebook, a cui ha partecipato Pietro Greco, giornalista e scrittore, con il volume “La scienza e l’Europa. Dal secondo dopoguerra a oggi” (L’Asino d’oro Edizioni), quinto di una serie.
Fina ha definito la serie una “storia del pensiero europeo che attraversa il pensiero scientifico, e in cui l’approccio non può che essere multidisciplinare. La scienza è il collante e il motore della storia europea: il suo declino ha determinato in Europa l’incapacità di governo della modernità”. Greco ha spiegato che “dopo aver mantenuto per quattro secoli, a partire dal Seicento, il monopolio della scienza moderna, questa nostra capacità si è erosa a causa della lunga guerra civile che ha sconvolto l’Europa già dal periodo che ha preceduto la prima guerra mondiale, sino alla fine della seconda e alla nascita delle due superpotenze protagoniste della Guerra fredda. L’Europa a quel punto ha perso la centralità che derivava dal primato nella scienza e nell’innovazione tecnologica”. Oggi questo primato se lo contendono Stati Uniti e Cina, quest’ultima oramai superiore all’Europa sia come investimenti complessivi che come numero di scienziati.
Greco tuttavia ritiene che il declino europeo non sia irreversibile, e che il continente possa tornare a competere ad armi pari con i due giganti nella ricerca scientifica: “Conserviamo due punti di forza: la qualità della nostra ricerca e il welfare state, che fa sì che più persone possano accedere alla formazione. Occorre difenderlo, a cominciare dal lato sanitario: la prova della sua importanza ce l’ha data anche la pandemia, l’Europa ne sta uscendo meglio ad esempio degli Stati Uniti dove la sanità è costosa e inefficiente”.
Suggestivi gli accostamenti nel corso del dialogo tra scienza e politica in Europa, in particolare su come la comunità scientifica sia stata più rapida nel mettere in atto, di fatto, un progetto di unità. Greco ha raccontato che “in Europa esisteva una comunità scientifica transnazionale già dal Seicento. La divisione è arrivata con la prima guerra mondiale, poi questa frammentazione è stata leggermente ricomposta nel primo dopoguerra, ma il nazismo ha prodotto una nuova rottura. Infine la fondazione del Cern che ha indicato in anticipo la strada dell’unità europea”.
É fondamentale che questo percorso continui nel segno della scienza e della ricerca, dell’economia della conoscenza, ha spiegato Greco: occorre che l’Unione europea vi investa di più (per arrivare al 3 per cento del Pil come già indicò l’Accordo di Lisbona nel 2000, assieme alla creazione di uno spazio unico della ricerca). In questo “un compito fondamentale spetta alla sinistra, che deve saper trasformare la crescita in qualità sociale e ambientale”. Tema ripreso da Fina, che ha sottolineato come la conoscenza alimenti libertà e democrazia. Alla crisi pandemica i Paesi con democrazia più immatura hanno reagito peggio, ma anche l’Occidente ha avuto accenni di reazioni sbagliate come quelle di Boris Johnson e Trump, ma non solo: “É l’indicatore di un arretramento”.
In chiusura l’autore ha indicato i settori della scienza e della ricerca che la pandemia ha in qualche modo indicato come fondamentali: la robotica, l’intelligenza artificiale, l’ecobiomedicina ovvero in generale lo studio dei rapporti che mettono in connessione gli organismi e degli impatti dell’uomo sul pianeta.
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