AVEZZANO – “Ho avuto il privilegio di conoscere Antonio Milo nel medesimo arco di tempo in cui coltivai la conoscenza di figure insigni quali Gennaro Lettieri di Teramo, l’Avvocato Follieri senior di Foggia, l’avvocato Paniz di Belluno; ciò avvenne dopo aver frequentato, con accogliente amicizia, Giuliano Milia unitamente a Giovanni Di Biase di Pescara e Lino Nisi di Teramo. In essi percepivo la statura di autentici “oncologi del diritto penale”, poiché ne paragonavo l’insostituibilità a quella dei medici specialisti chiamati a fronteggiare l’infausto impazzimento cellulare che aggredisce l’organismo umano.
Il penalista di vaglia del Novecento incarnava una sintesi mirabile di competenza, ferma motivazione, velocità tecnicale e una straordinaria sensibilità nell’ascolto delle paure dell’assistito.
Mi rivolsi ad Antonio Milo in reiterate occasioni per compulsare il suo pensiero riguardo alla mia, forse irriverente, catalogazione di certa avvocatura della contemporaneità. Egli, con la sua proverbiale misura, mi invitava a contenere la mia disistima nei confronti dei “pareggiatori di professione”, figure più propense alla ricerca del plauso epidermico che alla rigorosa affermazione del diritto sostanziale. L’ultima volta che interloquii con Antonio Milo – avvocato che resta mite ma giammai rinunciatario – egli mi gratificò di sorrisi compiaciuti per un ricorso in Cassazione, di cui diede notizia anche Il Sole 24 Ore. Quel ricorso poneva in luce, quasi irridendola, una certa prassi intrisa di “gelatinosità” nelle interlocuzioni tra Pubblico Ministero e Giudice per le Indagini Preliminari, alludendo a consuetudini conviviali che, al di là delle specifiche circostanze fattuali, sarebbe opportuno evitare per preservare la necessaria separatezza delle funzioni.
Antonio, tu sai bene come dal ’92 in Abruzzo sia emersa come insostituibile e irrinunciabile la figura dell’avvocato penalista versato nel “diritto non caffettabile”: tu hai incarnato un riferimento d’eccellenza per chi ricercava l’avvocatura resistente, pertinace, capace di argomentare senza genuflessione e senza elidere vocale o consonante alcuna laddove la chiarezza e la forza dell’argomentazione lo richiedessero. Sarebbe oltremodo opportuno coltivare una memoria collettiva per onorare la tua metodologia nel sollevare questioni pregiudiziali e di merito, nel costruire quel fascicolo documentale che, sotto la tua egida, diveniva strumento inoppugnabile e decisivo.
Antonio, nutro la ferma convinzione che la tua somma bravura, l’acclarata competenza e l’indefessa motivazione ti abbiano consacrato quale paladino a sostegno dei diritti di coloro che patiscono le storture della malagiustizia. E proprio per questo, la tua figura continuerà a vivere vivida in ogni consesso ove la collettività affermi e rivendichi il principio sacrosanto che la legge è uguale per tutti”.