REGIONE – Mentre i territori si affidano alla didattica a distanza, il sindacato Unsic prova ad aggiornare la conta dei contagiati che hanno frequentato le aule scolastiche. La stima non è certo marginale: almeno 105mila casi complessivi, di cui circa l’80 per cento riguarda studenti. Oltre 2.200 i casi “scolastici” in Abruzzo.
“Purtroppo sono scarsi e non sempre attendibili, perché difficili da rilevare, i dati sul contagio a scuola – spiegano dall’Ufficio comunicazione dell’Unsic, che sin da settembre monitora questo delicato settore. “Nelle prime settimane ci hanno provato meritoriamente i due ricercatori indipendenti Vittorio Nicoletta e Lorenzo Ruffino, mettendo in evidenzia la crescente criticità della situazione. Da parte sua, il ministero dell’Istruzione, partito in ritardo, ha assemblato i dati forniti dalle scuole, ma i numeri fuori tracciamento hanno fermato l’operazione al 10 ottobre. Noi abbiamo rielaborato e ottimizzato i dati di diverse fonti, ad esempio armonizzandoli rispetto all’apertura delle scuole non uniforme sul territorio nazionale. Il risultato è che i contagiati tra studenti e personale scolastico hanno raggiunto circa il 16 per cento del totale dei contagiati, cioè leggermente sopra l’incidenza della popolazione scolastica su quella complessiva nazionale. C’è però il nodo, difficile da sbrogliare, di quanti studenti abbiano trasferito il contagio in famiglia, che resta l’ambito principale della propagazione del virus”.
Il contributo delle scuole alla diffusione del virus, soprattutto in modo indiretto attraverso i trasporti e gli assembramenti in strada, secondo l’Unsic emergerebbe anche da diversi indicatori. Innanzitutto i numeri: se dall’apertura delle scuole fino al 30 settembre sono stati individuati in Italia 25.461 nuovi casi, con una media di 1.500 al giorno, ad ottobre s’è raggiunta la cifra complessiva di 364.571, ben 11.760 al giorno, quasi otto volte di più. Qui le scuole hanno fatto la loro parte. Parallelamente s’è registrata l’incidenza crescente dei ragazzi tra le persone sottoposte a tampone e l’età media dei contagiati più bassa proprio per l’inclusione di alcuni ragazzi. Occorre tenere presente che a sfuggire ai rilevamenti, ovviamente non avendone colpa, sono soprattutto i giovani asintomatici, per cui i numeri sono di certo sottostimati. Va aggiunto un fatto: tutta l’Europa ha riaperto le scuole e questi trend li ritroviamo dappertutto in modo analogo nel vecchio continente.
Queste tendenze sono confermate da dati internazionali, come i bollettini della Sanità pubblica francese che già a fine settembre hanno individuato nelle scuole e nelle università un terzo di tutti i focolai, mentre uno studio scozzese ritiene che la chiusura delle scuole possa ridurre di circa un quarto tutti i contagi.
“Pur riconoscendo il valore pedagogico della scuola in presenza, avremmo dovuto adottare la didattica a distanza per le superiori sin dal 14 settembre per attenuare la curva esponenziale esplosa non a caso due-tre settimane dopo, così come abbiamo profetizzato sin dall’estate – spiega Domenico Mamone, presidente dell’Unsic, che con il giornalista Giampiero Castellotti pubblicherà il libro “Covid e dintorni” in primavera. “In subordine si sarebbe potuto far partire le scuole superiori a novembre, recuperando il mese a giugno, riservando la Dad per l’apprendimento e lasciando in presenza le interrogazioni. Inoltre, anziché impegnare centinaia di milioni in banchetti e mascherine, sarebbe stato più utile prevedere un presidio sanitario fisso nelle scuole, la formazione informatica per i docenti e implementare fortemente gli apparati tecnologici. Ora, visto il trend, bisognerà evitare di tornare indietro, cercando invece di migliorare la didattica a distanza, modalità che volenti o nolenti ci dovrà accompagnare a lungo per evitare di peggiorare la situazione”.
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