“Io reputo non sia una malattia, è un’esperienza di vita. E nel momento in cui ci viene incontro dobbiamo prendercene cura, come di qualsiasi altra esperienza di vita“
SPOLTORE – Cos’è l’autismo? A rispondere, da uomo di fede, è stato l’arcivescovo Tommaso Valentinetti, invitato come presidente della fondazione Papa Paolo VI al convegno di sabato (6 aprile 2019) dedicato all’inclusione attiva in occasione degli eventi sulla consapevolezza dell’autismo.
“Io reputo non sia una malattia, è un’esperienza di vita. E nel momento in cui ci viene incontro dobbiamo prendercene cura, come di qualsiasi altra esperienza di vita. Quando mi sono convinto di questa verità? Giovane sacerdote, nel 1983, in una classe dove insegnavo religione ho incontrato un ragazzo autistico che mentre la maestra faceva scuola correva costantemente in tutta la classe”.
L’arcivescovo ha continuato il racconto con un nome di fantasia: “Chiamiamolo Tommaso, come me. Non parlava, ogni tanto metteva le mani sugli occhi, correva nella classe e qualche volta dava un calcio a un compagno: la maestra ha avuto la grande abilita’ di riuscire a coinvolgere Tommaso all’interno della scuola. Con accorgimenti, attenzioni, siamo riusciti ad integrarlo: ha fatto la prima comunione insieme agli altri, poi si è trasferito perche’ i suoi genitori, per poterlo curare maggiormente, si sono trasferiti a Pescara dove c’era la fondazione Papa Paolo VI. Tommaso oggi ha piu’ di 40 anni, è autonomo, prende l’autobus, colleziona statuette di santi. É riapparso nella mia vita il 17 dicembre 2005, alla mia presa di possesso della Cattedrale di Pescara, e da allora non manca mai a nessuna celebrazione presieduta dal vescovo. Ovviamente esistono forme diverse di autismo, ma questi risultati si possono ottenere se c’è un cammino profondo. Oggi c’è, invece, la convinzione che tutti nella vita debbano rispondere al massimo, ma non può essere così”.
L’autismo dunque non è malattia contagiosa, ma una condizione che si puo’ approfondire per fare in modo che chi la soffre non debba soffrire anche l’isolamento, la marginalita’, la solitudine. Il personale della Fondazione Papa Paolo VI – Centro Adriatico, Flaviana Bianco e Alessandro Rapanà, ha spiegato come affrontano l’autismo per migliorare la qualità di vita del paziente. In sala sono stati proiettati dei video che mostrano i ragazzi autistici imparare a lavarsi i denti, farsi la barba, apparecchiare, comprendere il funzionamento del denaro con l’utilizzo di un distributore automatico, non prima di aver imparato con una griglia fotografica a riconoscere, distinguere e quantificare le varie monete. “Lo scopo della terapia occupazionale” ha spiegato Rapanà “è far fare, stimolare la conoscenza del sè, delle proprie capacità e dei limiti”.
Il momento più toccante è stato quando Mirna Rodriguez ha ricordato, leggendo una lettera, i giorni in cui ha capito la condizione della figlia, insospettita da come interagiva con i giocattoli che si limitava a mettere in fila. Tutto è accaduto nell’estate del 2004. La sua bambina, nata nel 2002, fino a 18 mesi non aveva avuto problemi, al punto che aveva rapidamente imparato le prime parole in italiano, dopo il trasferimento con i suoi genitori. E Mirna ha raccontato tutto il dolore e la solitudine di una mamma che freneticamente cerca materiale e risponde a questionari su internet, perché sempre sul web ha letto che una diagnosi precoce dell’autismo può aiutare molto. “Tra parenti e dottori” ha ricordato “pochi mi davano retta”: oggi la figlia, anche se non parla, ma riesce a comunicare con un tablet apposito e a chiedere di essere accompagnata al mare o al centro commerciale, che sono i suoi posti preferiti.
Ogni anno il convegno dedicato alla consapevolezza dell’Autismo cerca di fare un passo in avanti sulla conoscenza di questa condizione: il sindaco Luciano Di Lorito ha annunciato che il prossimo anno sarà dedicato al “Dopo di Noi”, al “senso di responsabilità che dobbiamo sentire rispetto al momento in cui noi non avremo più un ruolo, all’eredità che dobbiamo lasciare”.