Salvare la costa dal cemento è l’obiettivo molto impegnativo del lavoro, visto che 222 chilometri sono spariti dal 1985 a oggi al ritmo di 8 km l’anno.L’Abruzzo ha il triste record (oltre il 63,6%)di suoli costieri trasformati da paesaggi naturali e agricoli a infrastrutture e edifici residenziali. Bisogna puntare su operazioni capaci di fermare l’erosione dei litorali e di consolidare il sistema di dune ancora esistenti
L’Italia ha una partita tutta da giocare: salvare le sue coste. Da sempre i paesaggi costieri rappresentano una parte rilevante dell’identità, della storia e della memoria collettiva del nostro Paese, oltre che una risorsa turistica importantissima e un patrimonio naturale di straordinario pregio. Eppure, le trasformazioni avvenute negli ultimi anni attestano una realtà allarmante che non accenna a cambiare.
Legambiente ha avviato nel 2012 uno studio delle aree costiere di tutta la Penisola (a eccezione di Sicilia e Sardegna, che rientreranno nella ricerca il prossimo anno) allo scopo di registrarne il consumo legato a speculazione edilizia e urbanizzazione di paesaggi agricoli e naturali. Il quadro che emerge dal dossier, che prende in esame 13 regioni, è tanto impressionante quanto paradossale: sui 3.902 chilometri di coste analizzate da Ventimiglia a Trieste, oltre 2.194 chilometri, ossia il 56,2% dei paesaggi costieri, sono stati trasformati dall’urbanizzazione. Dal 1985, anno della Legge Galasso, sono stati cancellati dal cemento circa 222 chilometri di paesaggio costiero, a un ritmo di quasi 8 chilometri l’anno.
La tutela delle coste è tornata di attualità in queste settimane per via della modifica alle procedure di autorizzazione per gli interventi in aree costiere avvenuta con la Legge Madia. Il Codice dei beni culturali e del paesaggio prevede che per costruire nelle aree sottoposte a vincolo paesaggistico come quelle costiere, oltre all’autorizzazione edilizia, è necessario anche un parere paesaggistico autonomo espresso da un Soprintendente. Con il testo di riforma della Pubblica Amministrazione, approvato definitivamente dal Parlamento il 4 agosto, in caso di ritardo di oltre 90 giorni da parte della Soprintendenza i termini e le condizioni per l’acquisizione del parere decadranno e si determinerà un silenzio assenso.
“Con il silenzio/assenso della Legge Madia – commenta il vice presidente di Legambiente, Edoardo Zanchini – i rischi per le coste italiane aumenteranno. Se molte minacce per il paesaggio costiero si sono realizzate all’interno di un quadro normativo che prevedeva piani regionali e vincoli di edificabilità, come quelli introdotti dalla Legge Galasso, è facile immaginare cosa potrà succedere in assenza di una riorganizzazione e di un rafforzamento degli uffici preposti alla gestione dei vincoli. Per questo occorre cambiare le regole di tutela, che si sono rivelate del tutto inadeguate a salvaguardare i paesaggi costieri dalla pressione edilizia, e istituire un sistema di controlli adeguati e di condivisione delle informazione tra i Ministeri dei Beni Culturali e dell’Ambiente, Regioni e Soprintendenze, Comuni e forze di Polizia. Occorre poi completare la pianificazione paesaggistica, perché oggi solo Puglia, Sardegna e Toscana lo hanno fatto introducendo chiare indicazioni di tutela, attraverso un’intesa con il Ministero dei Beni culturali. La Legge Madia deve essere cambiata proprio in questa direzione, prevedendo il silenzio assenso solo per le Regioni nelle quali sono in vigore dei piani paesaggistici, perché in queste realtà è chiaro cosa si può realizzare e cosa no. E’ urgente poi fissare, attraverso meccanismi di sanzione e premialità, un vincolo di inedificabilità assoluta per tutte le aree costiere ancora libere per una distanza di almeno 1 chilometro dal mare, nelle Regioni senza piani paesaggistici”.
Il confronto tra le coste, realizzato attraverso una sovrapposizione di foto satellitari, evidenzia processi analoghi nelle diverse regioni. Il versante tirrenico è stato intaccato nella maniera più rilevante e, infatti, meno del 30% delle sue aree rimane oggi libero da costruzioni. Nell’Adriatico è soprattutto la morfologia costiera, dal delta del Po alle lagune venete, dal Conero al Gargano, ad aver costituito un ostacolo nei confronti della cementificazione. In ogni caso, tra il Molise e il Veneto sono scomparsi dal 1988 ulteriori 42 km di costa, con un incremento delle trasformazioni dei paesaggi pari al 6,3%. Complessivamente il record negativo spetta alla Calabria, dove le trasformazioni interessano più del 65% dei rispettivi paesaggi costieri, seguita da Lazio, Abruzzo e Liguria (63% di coste consumate).
In Calabria si è di fronte a dati impressionanti: su un totale di 798 chilometri sono 523 quelli trasformati da interventi edilizi, anche illegali. Tra il 1988 ed il 2011 sono stati consumati 11 km di costa soprattutto per seconde case e centri turistici. Le trasformazioni maggiori hanno riguardato la costa tirrenica dove gli edifici hanno cancellato importanti aree agricole, intaccato paesaggi montuosi di rara bellezza, avvicinato i centri esistenti, densificato e cementificato in maniera irresponsabile un patrimonio naturale inestimabile. Si confermano poi preoccupanti le situazioni di Abruzzo e Lazio. La Regione adriatica rappresenta dal punto di vista del consumo di suolo un caso emblematico, perché negli ultimi decenni è stata creata una vera e propria barriera tra il mare e l entroterra. Non meno grave la situazione della Liguria, dove su un totale di 345 km di costa ne sono scomparsi 218. Negli ultimi venti anni sono stati sfregiati 4mila metri di paesaggi costieri naturali in gran parte a favore di nuove seconde case, ville e palazzi, per l’espansione di alcuni agglomerati che si susseguono lungo la costa e per attività turistiche e portuali.
Tra le nuove regioni monitorate, invece, la meno virtuosa è la Puglia, dove ben 80 km di costa sono stati cancellati in soli due decenni. Complessivamente il 56,2% del totale della costa pugliese, sia adriatica che ionica, è stato modificato con interventi antropici legali o abusivi, con un fenomeno rilevante di consumo di suolo alle spalle della Riserva Naturale del Lago di Lesina, nel foggiano, e alle spalle del tratto di costa che va da Santa Maria di Leuca a Taranto. Preoccupa inoltre l’aumento del cemento in tratti originariamente naturali e agricoli, come a Peschici e Molinella, Zappeneta, Ippocampo e Margherita di Savoia. Negativo anche il bilancio del Friuli Venezia Giulia (55,4% di costa trasformata), dove tra l’altro, nelle zone di Lignano e Grado, sono stati presentati progetti turistici per centinaia di migliaia di metri cubi che occorre assolutamente scongiurare.
“L’Abruzzo – dichiara Luzio Nelli della segreteria regionale Legambiente – ha il triste record di suoli costieri trasformati, ossia passati da un paesaggi naturali e agricoli a infrastrutture e edifici residenziali. Sono infatti 91 i km di costa irreversibilmente modificati rispetto a un totale di 143 km, oltre il 63,6 %. L’Abruzzo rappresenta dal punto di vista del consumo di suolo un caso emblematico proprio perché negli ultimi decenni è stata creata una vera e propria barriera tra il resto della Regione e il mare Adriatico con decine di palazzi realizzati (e appartamenti non venduti) praticamente sulla spiaggia come nei casi di Montesilvano, Silvi, Francavilla al Mare, Torino di Sangro e Vasto. L’aspetto più impressionante in questa Regione è che il paesaggio costiero “ancora” libero sia protetto solo parzialmente, visto che solamente il 9% dell’intera costa abruzzese risulta essere area protetta. L’istituzione del Parco della Costa Teatina tra Ortona e Vasto rappresenta l’unica garanzia a tutela dei valori paesaggistici della “costa dei trabocchi. Nella nostra Regione bisogna lavorare per ottenere norme di salvaguardia del consumo di suolo e pianificare l’inedificabilità a un km dalla costa”.
“Bisogna aprire cantieri di riqualificazione ambientale e culturale delle aree costiere, per fare di questi territori il cuore dell’idea di sviluppo che si immagina per l’Italia e per l’Abruzzo nei prossimi anni, – ha concluso Nelli – occorre partire dalla rigenerazione energetica del patrimonio edilizio, che lungo le coste è spesso vecchio e inadeguato, dalla valorizzazione delle potenzialità turistiche e dallo sviluppo di una moderna mobilità sostenibile per l’accesso al patrimonio di spiagge, pinete e altre attrazioni naturalistiche e culturali. Al centro delle politiche devono essere posti gli interventi di adattamento ai cambiamenti climatici in linea con la programmazione europea sul tema, che individua come prioritarie le operazioni capaci di fermare l’erosione dei litorali e rafforzare il sistema di dune ancora esistenti”.