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Svelato il genoma del tartufo: importante scoperta scientifica, tra gli autori anche due docenti dell’UNIVAQ

da Direttore

La scoperta del genoma può dar luogo a varie applicazioni pratiche che vanno dalla selezione di tartufi sempre più pregiati, alla certificazione degli stessi, ma anche alla individuazione delle frodi.

L’AQUILA – Le notizie fornite dal comunicato dell’Università dell’Aquila, che riportiamo di seguito, potrebbero sembrare riservate solo a pochi addetti ai lavori, ristrette all’ambito scientifico anche se degne di nota perché raccontano dell’ennesima scoperta dei nostri competenti ed encomiabili ricercatori.

In realtà a leggere bene tra le righe si scopre che la ricerca sul genoma del tartufo ed i suoi risultati potranno essere applicati , a scopo migliorativo, nella sua coltivazione , che ne potrà trarre indubbi vantaggi rispetto alla qualità del prodotto e alla sicurezza della sua provenienza. Infatti si potranno selezionare tartufi sempre più pregiati, in modo naturale, lasciandosi guidare da basi scientifiche rigorose ed obiettive, ma grazie alle impronte genetiche si potrà fornire anche una certificazione del prodotto .

Il sequenziamento del genoma del tartufo nero pregiato ha consentito di compiere un grande passo in avanti nella comprensione della biologia di questo fungo prezioso. Tra gli autori della ricerca figurano i professori Michele Miranda e Giovanni Pacioni, dei Dipartimenti di Biologia di Base ed Applicata e di Scienze Ambientali dell’Università dell’Aquila, da molti anni proficuamente impegnati nello studio della biologia dei tartufi. In questo caso, coadiuvati dai dottori Antonella Bonfigli, Sabrina Colafarina ed Osvaldo Zarivi, essi hanno potuto definire la struttura e la espressione di oltre cento geni coinvolti in alcuni aspetti del ciclo cellulare e nei meccanismi dello sviluppo e della formazione dei tartufi.

L’importante risultato è stato possibile grazie ad una rete di ricerca Franco-Italiana, coordinata in Francia dal Centro INRA di Nancy e in Italia dai gruppi CNR-Università di Torino e Università di Parma, pubblica oggi sull’edizione on line di Nature (28marzo 2010) i risultati del sequenziamento genomico del tartufo nero Tuber melanosporum. La ricerca apre scenari del tutto nuovi sulla biologia di questo fungo misterioso, spiegando i processi che portano alla formazione del prezioso “tubero” e i meccanismi evolutivi che controllano la simbiosi con le radici delle piante (“micorriza”). La scelta del tartufo nero è stata dettata dall’importanza agro-alimentare e culturale di questo fungo per molti paesi mediterranei, in particolare Francia e Italia.

Frutto di 5 anni di lavoro, il primo genoma di un fungo commestibile, il tartufo nero, è finalmente disponibile. Il sequenziamento, coordinato da Francis Martin, direttore del laboratorio di ‘Ecogenomics of Interactions’ dell’INRA di Nancy, è stato condotto da Génoscope, il centro di ricerca francese dedicato ai sequenziamenti genomici, ed è stato analizzato e interpretato grazie ad un consorzio di 50 ricercatori francesi e italiani. Il progetto, presentato a Torino nell’aprile del 2007, ha richiesto un’analisi fine e dettagliata del genoma fungino, che in Italia ha coinvolto oltre ai gruppi di Parma e di Torino, ricercatori del CNR di Perugia e delle Università di Bologna, Roma, Urbino ed appunto L’Aquila.

Dal punto di vista genomico, i risultati più sorprendenti dell’indagine sono in primo luogo quelli quantitativi. Con una dimensione pari a 125 milioni di coppie di basi, il genoma del tartufo nero è il più grande tra quelli dei funghi fino ad oggi sequenziati. Sequenze ripetute riconducibili a elementi genetici mobili (“trasposoni”), che rappresentano il 58% dell’intero genoma, sono responsabili di questa massiccia quantità di DNA. I geni che codificano per proteine sono 7500 e di questi circa 6000 trovano corrispondenza con i geni di altri funghi. Tuttavia, diverse centinaia di geni sono unici del tartufo e possono svolgere un ruolo fondamentale nel controllo della formazione del corpo fruttifero (il tartufo) e nello sviluppo della relazione simbiontica che si stabilisce con la pianta ospite.

La disponibilità del genoma di Laccaria bicolor, un simbionte appartenente ad un gruppo di funghi diverso da quello di Tuber, già sequenziato dal gruppo di Martin (2008, Nature 452, 88), ha permesso di confrontare i due funghi e ha evidenziato forti differenze nel modo in cui i due simbionti dialogano con le loro piante ospiti, suggerendo quindi che la simbiosi micorrizica abbia seguito strade molto diverse nel corso dell’evoluzione.

Al di là delle conoscenze di base e dell’interesse accademico, il genoma di Tuber melanosporum fornisce preziose informazioni di carattere applicativo, se si considerano, ad esempio, l’importanza e la diffusione delle tecniche di tartuficoltura, oltre che il valore economico -diretto e indiretto- di questo prezioso prodotto, strettamente legato alla terra di provenienza (Perigord e Provenza per la Francia; Umbria, Marche, Abruzzo e altre regioni del centro-nord per l’Italia). La sequenza genomica mette a disposizione migliaia di marcatori genetici sparsi lungo tutto il genoma che verranno impiegati per evidenziare polimorfismi genetici (sequenze diagnostiche di DNA) nei tartufi provenienti da diverse aree. Le impronte genetiche così ottenute permetteranno di tracciare i tartufi sulla base della loro provenienza, fornendo una sorta di certificazione del prodotto, ma potranno anche essere usate come strumento anti-frode. A questo proposito è importante ricordare che in Italia la commercializzazione di un numero limitato di specie di Tuber è regolamentata da una apposita legge (N. 752 del 16/12/1985) e che il tartufo nero, come il tartufo bianco di Alba, possono essere sostituiti da specie di minor valore.

I marcatori genetici emersi dal sequenziamento danno anche informazioni essenziali sulle regioni del genoma responsabili della produzione dell’aroma, così apprezzato dagli amanti del “diamante nero”. Grazie all’identificazione delle regioni polimorfiche e dei geni che codificano per gli enzimi responsabili della formazione dei composti volatili, si potrà, entro breve tempo, definire un profilo genetico-molecolare che coniughi l’origine geografica dei tartufi neri con il loro profumo. L’analisi della sequenza genomica ha anche evidenziato il ridottissimo potenziale allergenico dei tartufi (solo di poco superiore a quello del lievito) e l’assenza delle principali vie metaboliche responsabili della formazione delle micotossine.

La tartuficoltura potrà trarre grandi vantaggi da queste informazioni, grazie alla possibilità di selezionare individui geneticamente caratterizzati e con tratti organolettici particolarmente pregiati per la micorrizazione delle piante e la propagazione dei tartufi. Unitamente alla identificazione dei geni che controllano i meccanismi di riproduzione del tartufo nero e che richiedono due fattori di segno opposto per garantire la compatibilità sessuale e il successo riproduttivo, si può ipotizzare un forte avanzamento (su basi esclusivamente naturali) delle tecniche di coltivazione, che permetterà di guidare su basi scientifiche rigorose e obiettive le azioni dei tartuficoltori.

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