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Tocco da Casauria, inaugurazione del premio – residenza artistica

da Redazione

premio artistico terre di casauria

Il progetto è promosso dai Comuni di Tocco da Casauria, Torre de’ Passeri e Bolognano per la valorizzazione del territorio casauriense.

TOCCO DA CASAURIA – Domenica 23 giugno 2019 ore 11.30 nel Boschetto in Località Marano a Tocco da Casauria (Pe), il Premio/Residenza artistica a cura di Roberta Melasecca con le opere di Alessandro Antonucci, Lia Cavo e Vanni Macchiagodena.

Il Premio si articola in tre interventi artistici realizzati per arricchire e valorizzare un’area di particolare valenza paesaggistica del territorio casauriense, offrendone un racconto visivo con installazioni di arte contemporanea in parte realizzate con materiale di origine naturale reperito sul posto. Un’iniziativa pensata per evidenziare lo stretto legame tra arte e natura e affermare il valore di un’opera perfettamente integrata con l’ambiente circostante che, con il tempo, viene riassorbita dalla natura.

Il Premio si inserisce nell’ambito del Progetto Terre di Casauria. Il sentiero della sostenibilità, promosso dai Comuni di Tocco da Casauria, Torre de’ Passeri e Bolognano, finanziato dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, a seguito di un bando per l’assegnazione di fondi da destinare al finanziamento di “Attività Culturali a favore dei Comuni con siti caratterizzati da inquinamento ambientale”.

Il progetto intende ripercorrere l’evoluzione energetica degli ultimi 150 anni che ha visto nascere a Tocco da Casauria i primi pozzi petroliferi in Italia e, 120 anni dopo, il primo impianto eolico sperimentale. Seguendo questo filo conduttore, mira a riscattare l’immagine di un territorio in parte compromesso da una situazione di emergenza ambientale e che merita di essere rilanciato da un punto di vista turistico-culturale e paesaggistico. Tra gli interventi realizzati e previsti, una ciclovia di 22 km su tracciati esistenti, segnalata mediante un sistema di cartellonistica; un percorso-vita attrezzato nel verde nel Parco dei Giusti a Torre de’ Passeri; un educational tour per giornalisti e tour operator con tappe nelle principali aree di interesse turistico e ambientale del territorio (in programma dal 21 al 23 giugno); programmi didattici e laboratori di sviluppo sostenibile per le scuole.

Alessandro Antonucci spazia dalla pittura alla scultura: l’indagine artistica è legata ai temi della memoria e a quelli della natura, fonte d’ispirazione continua; Lia Cavo, artista di respiro internazionale, indirizza la sua ricerca verso l’arte in movimento, creando manufatti con i quali lo spettatore può interagire e sperimentando materiali diversi quali plastica, resine, ferro, legno, reti da recinzioni e fonti di luce; Vanni Macchiagodena, pittore e scultore termolese, autodidatta, lavora parallelamente sia in ambito scultoreo che pittorico esponendo regolarmente in Italia e Inghilterra. L’opera di Alessandro Antonucci, dal titolo “Confluenze” è realizzata in gesso, legno, pietra e bitume. L’installazione di Lia Cavo, dal titolo “Simbionti”, è realizzata con rete metallica, garze, gesso alabastrino e polveri di marmo. L’opera di Vanni Macchiagodena, dal titolo “Radici” è realizzata in legno di orniello.

Abbinata al Premio, verrà allestita negli spazi del Museo Civico di Tocco da Casauria una mostra fotografica che da una parte documenterà l’iter dei tre artisti e dall’altra valorizzerà il territorio circostante. Autori delle immagini sono Annalisa De Luca, Piero Geminelli e Vittorio Di Valentino.

Alessandro Antonucci realizza tre calchi in gesso, eseguiti direttamente su ognuno dei tre territori di Tocco da Casauria, Torre de’ Passeri e Bolognano: sono fotografie e racconti geologici di una realtà minima, di solito non visibile se non si alza o si abbassa lo sguardo. L’azione dell’artista è un meccanismo di conoscenza e di appropriazione di un luogo, che svela dettagli di mondi infinitesimi e nel quale confluiscono narrazioni di ere, accadimenti di fenomeni naturali, passaggi di essenze ed anime, scale di piani e dimensioni. Il calco così viene eletto ad elemento di congiunzione tra universi e storie e il sentimento – della scoperta e della responsabilità- è simile a quello di Ortone quando scorge il mondo dei Chi all’interno di un granello di polvere (Horton Hears a Who! di Theodor Seuss Geisel) e si sente chiamato dal destino a proteggerne il popolo. A sacralizzare la presenza dei tre calchi, posti su piedistalli, tronchi presi in prestito dalla piena del fiume, l’artista immerge ed affonda una pietra in quel bitume che ancora esala dalle viscere della sabbia fluviale. E la dispone su altra pietra, come monito e come dispositivo di riflessione sull’utilizzo che l’uomo fa, nel corso della storia, dei materiali e delle tecnologie. L’artista, con passo rarefatto e mano leggiadra, transita come labile soffio di vento tra foglie ed arbusti, lasciando a sua volta impreviste tracce del suo andare.

Lia Cavo, mossa da un’esigenza genetica e primordiale, procede in un viaggio a ritroso nella memoria, alla ricerca di una mutualità con il luogo e con ogni essere che lo abita. Plasma tre cocoon, dalle forme organiche, modellando reti da polli con garze gessate e completandoli con gesso alabastrino e polveri di marmo, fino a raggiungere le sembianze di volti ancestrali, che emergono dai fondi dell’inconscio. Li dispone secondo un percorso circolare, ripercorrendo mnemonicamente il tracciato cicloturistico che collega i tre comuni del territorio casauriense, e genera dinamiche di osservazione e rivelazione che congiungono tempo e spazio. Respirando aria, abbracciando alberi, ascoltando voci, l’artista compenetra il proprio essere con la terra e il cielo, avvolta dallo spirito di una mitologica Madre Terra, dea della Natura e della Spiritualità, fonte divina di ogni nascita e rinascita, che crea e procrea in una relazione tra organismi, azioni, energie differenti. Ogni cocoon, così, stabilisce un rapporto simbiontico con l’albero che lo ospita ed attende, inerme, offrendo protezione ed accoglienza, finché non si generi di nuovo la vita in esso. L’opera dell’artista si trasforma in un canto lontano, eco non di semplice sopravvivenza ma di coevoluzione e crescita congiunta tra uomo e paesaggio, dove ogni entità dona e riceve e diventa parte essenziale del tessuto della vita.

Vanni Macchiagodena costruisce un mondo alla rovescia, immerso nel folto delle vegetazione, sospeso nel limbo fragile del sistema uomo-ambiente, per portare alla luce ciò che solitamente è sommerso: una quinta realizzata con gli elementi più sottili e terminali degli arbusti di orniello che si tramutano, in inversione di ruoli, in radici intrecciate e ramificate. L’artista edifica un apparato tridimensionale dove gli elementi si slanciano e si protendono fino a generare un’alcova, evitando di giungere al contatto con il suolo, in attesa di devozione e desiderio, ritratti dal timore, catturati dallo sguardo. Giunti in una dimensione a-temporale, esalano dalla terra tracce e memorie, esseri pensanti che si radicano in storie e culture, in un’estrema ed incessante ricerca di identità primordiali che narrano del susseguirsi delle stagioni, di luoghi e lasciti, di sudori e scoperte. L’artista, nell’azione del fare e costruire, svela, all’evidenza della conoscenza, le matrici di un luogo attraversato da impronte ed orme, per riscoprire l’intimo senso di appartenenza ad una comunità in eterna trasformazione. Abbandona, infine, l’opera al percorrere del tempo e all’attività della natura che riassorbirà ogni umana costruzione, lasciando un unico segno del suo passaggio, accentuato ora dalla candida coloritura, simbolo della vita che incessantemente resiste.

Annalisa De Luca, ninfa tra i boschi, assorbe le anime e gli spiriti vaganti, si tramuta in acqua e roccia ed immagina una nuova pangea dove totale è la fusione tra esseri naturali. Dal suo mettersi a nudo traspare la volontà e l’esigenza di un viaggio verso i confini del proprio io identitario, nella consapevolezza che ogni incedere è atto salvifico ed ogni raffigurazione volge alla scoperta di memorie recondite e di substrati ancestrali. Elemento di congiunzione e strumento di coesistenza è il corpo, simbolo di imperfezione e resilienza, di fortezza e incostanza: si adatta e si trasforma continuamente al minimo tocco e al semplice sospiro, rinnovata Medusa che mai pietrifica ma genera vita. Le immagini fotografiche non sono, dunque, rappresentazione di una vita esteriore ma paesaggi e topografie dell’anima che, in attimi sequenziali, descrivono forme invisibili e mutevoli, mondi altri, mete di desideri ed idilli.” (dal testo critico di Roberta Melasecca).

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