Attualità

A Tornimparte Ju Calenne 2016

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Torna il  rito dell’Albero del Maggio nella notte tra  il 30 aprile e il 1° maggio
TORNIMPARTE (AQ) – Crescono le aspettative per il rinnovarsi del rito dell’Albero del Maggio, “Ju Calenne”. Nella notte “magica” tra il 30 aprile e il 1° maggio un gruppo di uomini vigorosi taglia un albero di pioppo alto e maestoso, lo trasporta davanti alla chiesa di San Panfilo e lo issa prima dell’alba stabilizzandolo nel terreno. Agli occhi di chi non ne conosce il significato profondo, questi possono sembrare gesti banali, invece rappresentano una delle tradizioni più antiche di Tornimparte, che fa uscire il paese dal secolare isolamento tra le montagne dalle della valle del Raio per collegarlo alla storia dell’Europa intera. Tracce del rito cosiddetto del Maggio sono presenti in Germania, Svezia, Inghilterra, solo per fare qualche esempio. La tradizione, di origini longobarde, torna tra pochi giorni con la sua fascinosa festa, mai uguale a se stessa da quando nel 1973 è stata riproposta da un gruppo di giovani. Alla testa c’ero io, con me ragazzi che credevano nella valenza sociale e culturale del rito. Nella notte di sabato rivivono, dunque, le pulsioni ancestrali del mondo contadino, con tutte le sue credenze popolari e la gestualità della cultura materiale legata alla terra e ai boschi.
Protagonista per una notte è l’accetta, l’amante del bosco, lo strumento fedele con cui i carbonai procedevano al taglio ceduo delle piante sulle montagne dell’Appennino centro-meridionale e nelle bonifiche Romane e Pontine. Oggi non resta nulla di quel mondo: bene che una tradizione come quella del “Calenne” riporti tra i giovani il desiderio di riscoprire l’appartenenza a una comunità, contribuendo a rinnovare la festa. La loro energia è fondamentale soprattutto nella prova di forza collettiva costituita dal trasporto del “Maggio”. Questo e tanto altro rappresenta il rito che, dal punto di vista storico e antropologico, è ancora tutto da indagare e che è collegato al Santo patrono della frazione di Villagrande, San Panfilo.
La festa del Santo cade il 28 aprile (due giorni prima che si svolga il rito del Calenne), ossia nel giorno in cui a Roma, nel 241 a.C, si svolgeva la floralia in omaggio alla dea Flora, protettrice delle gemme. Lo stesso Santo nella cultura popolare propiziava le piogge e proteggeva le campagne e gli animali. In tempi più recenti, nel giorno della sua festa venivano portate le sementi sul sagrato “castro” della chiesa per essere benedette. Indagando all’interno del rito troviamo, poi, elementi pagani e cristiani che sono arrivati fino a noi contaminandosi, mentre viene citato anche negli Statuti Aquilani e tramandato nella tradizione orale. La festa dell’Albero del Maggio di Tornimparte era un omaggio al risveglio della terra a primavera e allo spirito della vegetazione che viveva secondo le antiche credenze nelle piante più grandi e maestose, aiutando la maturazione delle messi e la fecondazione delle donne e degli animali. Un altro elemento che prova il legame tra San Panfilo e il Maggio è la consuetudine di esporre davanti al cancello della chiesa, nella mattina del 28 aprile, i rami di faggio fioriti: “ju faittu”, un tempo segno della fine dell’inverno e la possibilità per gli animali di uscire dalle stalle per nuovi erbaggi. Questo periodo dell’anno era un passaggio difficile per le popolazioni contadine, perché finiva la scorta di grano per le persone e i foraggi per gli animali e la terra ancora non fruttificava per la nuova stagione. I pastori vedevano il mese di maggio come una irta costa da risalire e, per quanto lo temevano, non lo chiamavano nemmeno per nome (dicevano: “quiju appresso a abbrile”). Lo ha spiegato anche l’antropologo di fama mondiale Alfonso Maria di Nola docente della storia delle religioni all’università di Napoli, definendo in occasione di una tavola rotonda a Tornimparte, quel periodo dell’anno una “strettoia” attraverso la quale le popolazioni dovevano passare pena la sopravvivenza. Una volta issato come divinità contro l’incertezza, l’albero restava fino al giorno dell’Ascensione come a chiudere un ciclo agrario, quando i pastori salivano la montagna con gli animali. Certo oggi il rito non serve più a placare lo spirito della vegetazione ma resta un momento di forte unità sociale, in cui la comunità si ritrova: giovani e anziani, anche solo per giorni di festa in un ponte virtuale tra passato e presente, una storia che si ripete anche in altri Paesi in Europa e in Italia. L’urlo stridulo che la pianta emette nel momento dell’abbattimento è come un grido di dolore della comunità tornimpartese che non vuole morire ma aspetta il suo riscatto economico politico e sociale.
La fatidica notte
Dopo la vestizione il gruppo dei maggiaioli si avvia con torce, scale e accette nel luogo stabilito, con fare furtivo, per depistare il proprietario che non deve sapere. Tutte le operazioni, regolate da norme precise, rientrano negli usi e costumi della tradizione e per una notte sospende il diritto di proprietà. Il proprietario può rientrare in possesso della pianta solo se sorprende i maggiaioli all’interno del proprio fondo o nel caso non si riesca ad alzarla prima dell’alba. Quando è l’alba?Per stabilire l’ora dell’alba si presentano davanti al proprietario delle persone a lui note, alla distanza di cento passi, se avviene il riconoscimento è l’alba. La scelta della pianta da sacrificare viene fatta dal capo dei maggiaioli il giorno di S. Panfilo aiutato dalle persone di esperienza; è sempre un momento solenne e delicato e avviene non senza incertezze. Viene scelta una pianta alta 30 o 40 metri, dritta dall’aspetto maestoso e regolare valutandone il peso e la posizione nel terreno. Il segno della croce, preghiera di buon auspicio, dà il via all’accetta che passa di mano in mano fino allo schianto finale. Si libera il tronco dai rami laterali, la gente si stringe in cerchio, i vecchi passano la voce chiudendo i giovani in un abbraccio col tronco, per saggiarne il peso e le difficoltà. Quando la pianta si domina uno sforzo collettivo la issa sulle spalle e via verso la chiesa. Grida ed improvvisi silenzi accompagnano l’albero, non senza difficoltà, verso la meta e l’incitamento rauco del capo dei maggiaioli determina il ritmo del passo. Arrivati alla chiesa lo sguardo del santo patrono S. Panfilo sembra controllare tutte le operazioni dell’ innalzamento. In tanti anni ormai, da quando rivive la festa, non abbiamo avuto nessuno incidente grave, un miracolo considerando le difficoltà da superare. Un sistema di corde e scale permette alla pianta di essere issata ed ancorata al campanile della chiesa. A me piace pensare che S. Panfilo abbia inteso proteggerci per rispetto della fatica spesa per una festa a lui dedicata. Il suono della campane avverte il paese che tutto è andato bene: “sono finiti gli sforzi e le fatiche dei giovani e una nuova primavera avanza col mare di verde che ricopre la valle di Tornimparte e le sue montagne”. Per comprendere la festa bisogna viverla all’interno sentirne le pulsioni, non di semplice folklore rispolverato ma di una manifestazione che giunge fino a noi dalla notte dei tempi e questa comunità ha sedimentato nelle sue radici. Nonostante la modernità abbia attenuato i caratteri di festa pagana ed indeboliti i segni del rituale magico-religioso, incastonato nel contesto agro-pastorale del passato, ogni anno si rinnova e si ripropone con la sua complessità viva e coinvolgente.

A cura di Vincenzo Gianforte

Fotografie di Giacomo Carnicelli

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