L’impressione è stata buona, complice la bella e calda giornata invernale, una ottima guida, Fabio Mascio di Vasto Ciclabile e FIAB Vasto Pedala, nonché un certo positivo stupore, non essendo mai stato prima da quelle parti, almeno in bici.
Forse mancavano le luminarie, non nel senso delle luci della scia festaiola natalizia e di inizio anno, ma del corredo informativo che ti fa capire dove sei. In effetti ho trovato solo un cartello, con cui tra l’altro il Comune di San Salvo avverte che per Bike to Coast i compiti li ha belli e finiti, almeno per quanto di competenza. Per gli “addobbi didascalici” forse ci vorrà ancora un po’.
Ma entriamo nel dettaglio. Pochi i km del percorso, poco più di 7 km, a metà strada tra la Statale 16 e il lungomare. Si tratta di una pista in sede riservata, di discreta fattura, utilizzata però in modo assiduo anche dai pedoni. Già adesso, e siamo a gennaio, c’è qualche evidente incompatibilità (la mia guida mi dice che d’estate è ciclisticamente “impraticabile”).
In effetti la pista è larga 2,5 mt e quindi, essendo a due sensi, può essere solo ciclabile. Il tracciato pedonale andrebbe realizzato di lato. Cosa dirà al riguardo Bike to Coast? Non so. Personalmente vedrei bene un tracciato per le bici più ampio, almeno di un metro, semplicemente perché le comitive che si spostano in bicicletta per svago, perché questo garantisce in primis Bike to Coast, sono di persone che tra loro parlano, dialogano, meglio se almeno affiancati, per evitare di doversi urlare se incolonnati, o stare zitti e muti (come accade in tutte le piste bidirezionali monoutente, come ad esempio quella sul lungomare di Pescara e Montesilvano).
Ma posso intuire che sulla mobilità ciclistica, almeno da noi, si sia ancora agli inizi, e quindi questa sembrerà sicuramente una proposta di … lusso. Meglio farla, però, non si mai che qualcuno la prenda sul serio.
Dalla parte terminale del lato nord, dove la pista ciclabile termina (da lì partirà il nuovo tracciato della Via Verde sul sedime della vecchia ferrovia), si sale a Vasto sulla strada normale, un paio di km di leggera ma impegnativa salita in mezzo al traffico.
A metà strada la vecchia stazione ferroviaria dismessa, abbandonata, ma splendida. Al posto dei binari un piazzale quasi tutto asfaltato, ora utilizzato come parcheggio. La stazione è di proprietà di RFI. Su questo manufatto, come su alcuni altri del tracciato della Via Verde teatina, si gioca tanto del futuro di questo nastro ciclistico costiero, per ragioni facilmente immaginabili: sulla pista ci si muove, qui ci si ferma.
Poche pedalate e si giunge in cima al paese. Farsene illustrare la storia è indispensabile, e qui Fabio mi è stato di grandissimo aiuto. Troppe le cose che non si vedono e che devono essere raccontate. Il Palazzo dei D’Avalos è lì, lo si può toccare con mano, ma le dame che passeggiano leggiadre e spensierate nei giardini della corte con la servitù, ospitata nel gruppo di case di corredo al Palazzo, quelle appaiono solo durante il racconto. Unico e da mozzafiato, invece, è il panorama che si ammira dal lungo belvedere che si affaccia su tutto il golfo.
La macchina fotografica fa fatica a raccogliere quello che percepisce l’occhio, ma zoomando una cosa, ahimè, la mette in evidenza. Ciò che avevo già percepito nel dettaglio percorrendo qualche ora prima la pista ciclabile, ora si manifesta in tutta la sua estensione. Una coltre di edificato prospiciente il mare, che racconta della ricerca, negli anni ’70 – ’80, di un miracolo turistico colto però solo da chi ha costruito e venduto: grandi palazzi residenziali a pochi passi dalla spiaggia, praticamente disabitati per gran parte dell’anno, utilizzati come seconde case esclusivamente nella stagione estiva e senza quindi nessun vantaggio per l’economia locale.
Questo pezzo di territorio, occupato ormai perennemente da edifici, forse oggi potrebbe trovare una nuova via di sviluppo, un “riscatto sostenibile”, grazie a una esile linea ciclistica, quasi una membrana, che si stende a difesa delle dune e che sembra promettere più di quanto non riesca a far vedere, rispetto all’incombenza dei grandi palazzi, con fatica mantenuti ancora distanti dal mare.
Può essere, per quel che se ne dice in giro, che questa faccenda del cicloturismo possa fare la differenza per lo sviluppo di certi territori. Be’, se è così, sono convinto che per queste zone ci si possa ancora scommettere. Pedalando, perché no?
(a cura di Giancarlo Odoardi)
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