Un “vagone ferroviario urbano”, terminato accidentalmente in un canale, causò la morte di 47 persone. Tra queste Donato Acerbo nato a Loreto Aprutino.
LORETO APRUTINO (PE) – Era il pomeriggio del 7 novembre del 1916 quando, a Boston, un “vagone ferroviario urbano”, che trasportava operai, nell’attraversamento di un ponte levatoio piombò incredibilmente nelle acque del sottostante canale.
Le successive indagini non servirono mai a chiarire del tutto l’esatta dinamica dell’evento né le reali responsabilità. Nella tragedia persero la vita 47 persone. Erano nella quasi totalità operai. Uno di questi era abruzzese.
Le cronache di allora seppero offrire semplicemente il nome, Donato, e la definizione del la sua età “come incerta”. Poi una descrizione che precisava la regione di provenienza, l’Abruzzo, e il suo arrivo a Boston nel 1914 (“Acerbo grew up in the Abruzzo region of central Italy and arrived in Boston in the spring of 1914.”). A 100 anni esatti da quella immane tragedia vogliamo restituire il diritto di appartenenza a quel giovane ragazzo.
Si chiamava per esattezza Donatangelo Acerbo ed era nato a Loreto Aprutino (PE) il 17 febbraio del 1891 da Paolo e Angioletta Chiappini entrambi contadini. L’atto di nascita fu registrato dinanzi al Sindaco di allora Vincenzo Valentini. Le immagine e le descrizioni di quell’incidente sono agghiaccianti.
Ai povero operaio fu riservata una morte atroce per annegamento. Quel vagone, n. 393, si tramutò, per loro, in una “bara di morte”. Fu proprio il corpo di Donato Acerbo l’ultimo ad essere recuperato. Questo grazie al coraggioso intervento di Peter Foley , un esperto sommozzatore, che fece l’impossibile per recuperare il cadavere del giovane emigrante abruzzese. Il giorno dopo, forse, sarebbe stato già troppo tardi.
Oggi Donato Acerbo riposa nel “St. Michael Cemetery” di Boston. Quella tragedia sconvolse gli interi Stati Uniti sia pure impegnati, come oggi, nelle allora appena concluse (il 5 novembre) elezioni presidenziali.
A cura di Geremia Mancini – Associazione Culturale “Ambasciatori della fame