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Trifuoggi all’incontro sul bullismo dell’Istituto Comprensivo 4 di Pescara

da Redazione

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Morgione: “occorre fermarsi e iniziare un percorso di crescita che deve vederci tutti coinvolti, genitori, ambiente familiare, scuola, docenti, amici e istituzioni”

PESCARA – “L’unica vera arma che ci permette di contrastare i fenomeni di bullismo o cyber-bullismo è la prevenzione, che si fa in famiglia e a scuola, ma che deve farci sentire tutti coinvolti. E come si combatte il fenomeno? Isolare il bullo non è la soluzione migliore, piuttosto si deve parlare, denunciare, segnalare. Quando siamo a conoscenza di un episodio di bullismo, senza sentirci spie, abbiamo il dovere di raccontarlo a chi ha il potere di intervenire, un familiare, un docente, una forza di Polizia, e potremo salvare un nostro coetaneo da danni peggiori”.

Lo ha detto l’ex Procuratore Capo della Repubblica di Pescara Nicola Trifuoggi, protagonista dell’incontro odierno promosso dal Kiwanis Club nell’Aula Magna dell’Istituto Comprensivo 4 di Pescara, in via Milano con gli studenti delle scuole medie ‘Pascoli’ e ‘Michetti’, alla presenza della Dirigente Daniela Morgione, della docente Assunta Cantoli, coordinatrice del progetto, del Presidente e vicepresidente del Kiwanis, Margherita Trua, dirigente scolastica a Tornareccio, e Vincenzo La Frazia, e dello psicologo-psicoterapeuta Fabio Gardelli.

“Obiettivo dell’incontro – ha spiegato la dirigente Morgione è quello di dare ai nostri studenti gli strumenti più utili per imparare a riconoscere il bullismo. Può accadere che i ragazzi assistano a episodi o siano essi stessi vittime di fenomeni border line e allora la scuola ha il dovere di insegnare loro a individuare gli eventuali segnali e a difendersi o a difendere anche un amico, un compagno di scuola, un fratello. In tal modo insegniamo agli studenti anche quali sono le azioni che possono farci divenire ‘bulli’, talvolta anche inconsapevolmente, e allora occorre fermarsi e iniziare un percorso di crescita che deve vederci tutti coinvolti, genitori, ambiente familiare, scuola, docenti, amici e istituzioni. Solo in questo modo i nostri ragazzi potranno diventare adulti consapevoli e responsabili”. “Da anni il Kiwanis ha aperto una battaglia contro il bullismo che oggi si è purtroppo evoluto, generando il cyberbullismo – ha spiegato il Presidente Trua – e lo facciamo perché siamo convinti che anche attraverso tale iniziativa, entrando nelle scuole, parlando con i ragazzi, possiamo contribuire a cambiare in modo positivo il nostro mondo”.

Ad aprire i lavori della mattinata è stato lo psicologo Gardelli che ha coinvolto gli studenti in un dialogo-confronto: “Purtroppo molti ragazzi appena adolescenti, di 11, 12 o 13 anni, hanno già vissuto l’esperienza di essere bulli o di essere vittima di bulli, e talvolta i risvolti sono stati drammatici. Il bullismo è una oppressione psicologica, verbale o fisica, esercitata da chi si sente forte nei confronti di qualcuno che viene percepito come più debole, ma in realtà, come gli stessi ragazzi sanno, è proprio il bullo a essere il debole, il soggetto che ha sempre un vissuto problematico alle proprie spalle, spesso affetto da patologie come la depressione, ecco perché occorre lavorare sulla prevenzione, perché prima o poi, anche da adulti, capiterà a tutti di doversi difendere da un episodio di bullismo”.

“Oggi dobbiamo difendere i nostri ragazzi, figli, nipoti, dal sub-prodotto del bullismo, ovvero il cyberbullismo, il bullismo telematico, ancora più pericoloso perché corre sulla rete, poggia le proprie fondamenta, come dice la legge del 2017, sulla diffamazione, sulla denigrazione, sulla molestia e il ricatto, sulla manipolazione, l’alterazione o il furto dei dati personali con l’obiettivo di isolare o di mettere in ridicolo le proprie vittime che si trovano dinanzi un nemico invisibile, virtuale, sono privati anche del confronto e del contatto fisico. Per questo dobbiamo insegnare ai nostri ragazzi a limitare l’uso dei social, a non diffondere i propri dati personali. Ma come si combatte il bullismo? Ho lavorato per 45 anni in magistratura, sia a Pescara che fuori regione, da vent’anni entro nelle scuole per parlare di legalità con gli studenti, ho visitato tante carceri sempre per lavoro, e oggi sono convinto che la repressione non risolve i problemi, perché se così fosse oggi non ci sarebbero più reati perché la sola paura della pena detentiva dovrebbe essere un utile deterrente. Ma non è così: l’essere umano è strano, oggi in Italia anche le pietre sanno che i nostri telefoni sono intercettati, eppure ogni giorno c’è qualcuno che commette un reato e che se ne vanta al telefono, considerato quasi una bolla protettiva che invece è estremamente permeabile. Quello che conta allora è la prevenzione, tema sul quale dobbiamo darci tutti da fare, consapevoli che il bullo è quasi sempre un represso prepotente con un enorme complesso di inferiorità che va aiutato. E quando siamo a conoscenza di qualcuno che è vittima di bullismo, dobbiamo raccontarlo a chi ha il potere e l’autorità per intervenire, non significa fare la spia, ma aiutare chi sta vivendo un disagio importante”.

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