Il 26 aprile il testo goldoniano, riscritto da Giusi Checcaglini, sarà interpretato da Massimo Di Michele e Fabio Pasquini
L’AQUILA – Debutta a Parigi nella splendida sede dell’Istituto Italiano di Cultura, venerdì 26 aprile alle ore 18,30, il nuovo spettacolo targato Teatro Stabile d’Abruzzo “La bottega del caffè”.
Il celeberrimo testo goldoniano è qui riscritto da Giusi Checcaglini, è interpretato da Massimo Di Michele e Fabio Pasquini e vede la luce al termine di una residenza artistica voluta dal Direttore dell’Istituto Antonio Calbi.
“Sono felice del debutto di questa particolare versione di “La bottega del caffè” in una cornice così prestigiosa come l’Istituto Italiano di Cultura a Parigi, la mia scommessa –dice Giorgio Pasotti Direttore dello Stabile- è riportare il TSA al centro della scena italiana e non solo, prestiamo sempre più attenzione a collaborazioni e partenariati internazionali e sono sempre più convinto dell’attenzione che dobbiamo al teatro classico, ai testi immortali che hanno rappresentato e continuano a rappresentare fondamenta e colonne della storia artistica e culturale del nostro Paese. Uno degli assi portanti della mia Direzione Artistica del TSA lavora proprio sui nuovi linguaggi possibili per avvicinare anche le nuove generazioni al “repertorio”. Un lavoro che ci ripaga con la presenza ai nostri spettacoli di tanti giovani.”
“E’ sempre così difficile, quasi “imbarazzante”, scrivere appunti su un viaggio che devi ancora vivere… Quindi provo ad immaginare come sarà questo viaggio in compagnia di un pilastro del Teatro, Carlo Goldoni. – scrive Massimo di Michele che ne cura anche la regia – Goldoni è una scelta forte perché pone una difficoltà non banale: avvicinarsi a un testo classico, un canone del teatro italiano, sostenuto da una tessitura, un linguaggio profondamente teatrali, e al contempo restituirne una riduzione contemporanea, senza tradirne il contenuto. Ma la categoria del classico, in realtà, ben si presta ad operazioni di rilettura. Il vero classico non è cristallizzato in un’epoca remota e circoscritta, ma proietta i suoi temi e le sue soluzioni in una dimensione perennemente contemporanea, perfettamente adattabile ai più svariati panorami culturali e sociali. In questa ottica, la riduzione della professoressa Checcaglini, seziona e ricompone la trama, focalizzando la riscrittura sui due archetipi goldoniani del Serio e del Faceto. È una sintesi quasi sartoriale, che lavorando sul tessuto nobile del testo di Goldoni, ne individua nuove trame, le ricuce nella voce dei due soli attori che popolano la scena, innesta scampoli di altri stili e tradizioni letterarie, che spaziano da Plauto a Molière, fino a Dostoevskij. Come un filo di seta invisibile, la riscrittura reintreccia il testo originale, lo ricama di contaminazioni, lo trasforma in un testo inedito e sorprendente, ne veste la solida macchina teatrale Goldoniana, lasciandone intatta la forza espressiva. La guerra, la pace, le relazioni sociali, il commercio, temi originali dell’opera, rivivono contemporanei nella riscrittura. Scorrono tra i testi a cui i due attori danno voce. Due personaggi che, sganciati da ogni connotazione temporale forte, potrebbero essere i due di Aspettando Godot o di Finale di Partita. Oppure due persone qualunque, entità astratte che attraversano il tempo. Il mio intento è quello di, seguendo l’intento della riscrittura testuale, sfumare la collocazione temporanea del testo originale, creare una percezione di continuità tra le dinamiche del racconto e quelle della contemporaneità che viviamo. Un racconto, una storia, che si svolge nel ‘700, ma in cui possiamo riconoscere noi stessi, una storia di uomini e di immutati meccanismi umani, svincolata dal tempo della narrazione. In questa rarefazione temporale, anche lo spazio e la scena sfumano i propri tratti. Si compongono di percezioni più che di oggetti. L’odore del caffè, l’acciottolio di tazze, il parlottare. Poche pennellate emotive in uno spazio scenico svuotato, atemporale. Sulla fisicità degli attori, ho intenzione di lavorare per creare una sintesi tra una gestualità che richiami la classicità del testo di Goldoni, ma che si apra alla fluidità espressiva del teatro contemporaneo. Su questi spunti, si baserà il processo di lavorazione della rappresentazione. Si tratta, ad ogni modo, di un punto di partenza, che si arricchirà dell’alchimia imprevedibile che si instaura tra gli attori e il testo, le cui evoluzioni, come in ogni processo creativo, costituiscono un materiale prezioso e unico che rivivrà sulla scena.”