Molti paesi asiatici, e il mondo intero, si preparano dunque a celebrare l’apertura dell’anno della tigre con feste e celebrazioni. Ma in realtà la ‘Regina della giungla’ ha ben poco da festeggiare. Dal 1940 si sono infatti già estinte tre sottospecie di tigre, mentre una quarta, la tigre della Cina meridionale, non viene più avvistata in natura da circa 25 anni. Dal 1998, l’ultimo anno della tigre, il loro habitat si è ridotto del 40%, arrivando ad occupare solo il 7% del loro range storico. Sono ormai rimaste in natura solo 3.200 tigri, tutte concentrate nel Sud-est asiatico e gravemente minacciate dal bracconaggio per il commercio illegale di parti del loro corpo o prodotti derivati, dai cambiamenti climatici e dalla violenta deforestazione che sta distruggendo il loro habitat. Un ambito in cui anche l’Italia ha gravi responsabilità, essendo uno dei maggiori importatori di prodotti derivati da fauna e flora selvatica di quella parte del mondo.
In India la riduzione dell’habitat ha inasprito i conflitti tra persone e tigri che convivono in territori troppo ristretti, in Bangladesh, invece, il cambiamento climatico potrà comportare entro fine secolo la perdita del 96% della foresta di mangrovie del Sunderbans, habitat della tigre. Problemi anche in Russia e regione del Mekong per la deforestazione causata dal mercato illegale del legname o dalla costruzione di strade e dighe, mentre in Cina, Vietnam e Nepal i rischi arrivano dal commercio di ossa, pelli, carne di tigre e prodotti derivati per produrre medicinali e costumi tradizionali. E ancora. In Indonesia-Malesia, le industrie per la produzione di olio di palma, polpa di legno, carta, caffè e gomma stanno distruggendo a ritmi devastanti gli ambienti forestali ancora presenti.
Ma responsabili del rischio sopravvivenza della tigre sono anche i grandi Paesi industrializzati dell’Occidente. A cominciare dagli Stati Uniti che ospitano molte più tigri in cattività, più di 5.000, di quante ne siano rimaste in natura, con poche leggi per evitare che le parti di tigri finiscano sul mercato nero incrementando la domanda di questi prodotti. Sul banco degli imputati anche gli Stati europei che hanno una domanda annuale di circa 5,8 milioni di tonnellate di olio di palma, una delle cause principali della deforestazione nell’area asiatica. Insomma una situazione che sembrerebbe senza via d’uscita.
Il Wwf crede però che ci siano “ancora speranze” e “confida nelle potenzialità del summit speciale che si terrà in Russia a settembre, in cui tutti gli stati interessati dalla presenza della tigre, le organizzazioni ambientaliste e istituzioni cruciali come la Banca Mondiale, si riuniranno per stilare un’ambiziosa agenda per salvare le tigri. “Un summit – sottolinea il gruppo ambientalista – che sarà decisivo, dopo che già alla prima conferenza ministeriale asiatica sulla Conservazione della tigre, tenutasi in Tailandia a fine gennaio, i 13 stati range della tigre lì riuniti si sono impegnati a raddoppiare il numero delle tigri presenti in natura entro il 2022.
Così spiega Massimiliano Rocco, responsabile del Programma Specie del Wwwf Italia:
Le tigri vengono ancora oggi sterminate in tutto l’areale che ancora occupano, avvelenate, braccate con ogni mezzo, catturate per il commercio illegale di loro parti e prodotti, e cacciate dai loro antichi territori a causa della distruzione degli habitat. Ma noi riteniamo, e ci auguriamo che nell’Anno della Tigre ci sia ancora speranza per questa magnifica specie. I governi non hanno mai preso prima d’ora un impegno così ambizioso come il raddoppio del numero di esemplari in natura.
Se ci si impegna seriamente per la loro conservazione, le tigri hanno ancora una speranza di sopravvivere. Sono animali che prosperano in natura quando ben protetti dal bracconaggio e dalla perdita di habitat e se hanno cibo sufficiente. Ma questo non basta. Quello che serve ora è il concreto sostegno politico garantito dal più alto livello governativo degli stati range e dall’intera comunità internazionale, che sfrutta in maniera insostenibile e il più delle volte senza preoccuparsi delle proprie responsabilità le risorse naturali di quei Paesi. L’Italia, per esempio, è uno dei maggiori importatori di fauna e flora selvatica da quei Paesi.
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